“In una delle grandi trasformazioni
culturali nella storia occidentale la ricerca del dolore trionfò su quella del
piacere”: è il fondamento dell’ostilità irrefrenabile della chiesa contro Epicuro
(e Lucrezio) – Platone (l’anima) e Aristotele (il primo mobile) sì, anche lo
stoicismo (la Provvidenza), Epicuro invece no, da cancellare. E del sessismo,
al riparo della concupiscenza da combattere, che fa buona parte dell’impasse della chiesa da un paio di
secoli, di fronte alla cosiddetta modernità. Un masochismo virtuista, a partire
dalla lettura menomata dei Vangeli, come una catena di disgrazie (l’ira del
Padre, la sofferenza del Figlio, l’umanità peccaminosa, sempre e comunque), che
ne inficia la sollecitudine per la sofferenza.
– non si soccorre la sofferenza con la sofferenza, ma con l’energia e
l’animo sgombro, ilare, euforico. “L’inflizione del dolore non era affatto
sconosciuta nel mondo di Lucrezio. I romani ne erano esperti”. Ma per un motivo,
la sofferenza considerando una punizione: “I pagani non consideravano il dolore
un valore positivo, un trampolino di lancio verso la salvezza, bensì un male,
una sorte riservata a trasgressori, criminali, prigionieri, sventurati e –
l’unica categoria con un briciolo di dignità – soldati”. I conventi sono invece
diventati penitenziari, e anche le chiese e le parrocchie, luoghi di
afflizione. “Non era difficile per i cristiani del V e VI secolo trovare un
motivo per piangere”. Ne è rimasta l’abitudine.
È un dei due fili conduttori di questa
affascinante narrazione, Book Award e Pulitzer insieme all’uscita tre anni fa.
Didascalico, cioè semplice, ma a ogni rigo accattivante. L’altra è la scoperta
della scoperta, che lo studioso di Harvard fa rivivere. Della scoperta
letteraria. Anzi, della nascita dell’ umanesimo: della ricerca sistematica,
accurata, critica, dei classici, della tradizione, di ciò che la grande
antichità, seppure pagana, aveva pensato e scritto. Entrambi svolti con
profondità e leggerezza: una narrazione segnata dalla grazia, che fa vivere
sulla pagina le vicissitudini della storia. Si legge anche come un inno
nostalgico al libro, in tutte le sue forme, se oggi è destinato a
digitalizzarsi e svanire.
L’avvento del dolorismo è parallelo alla
crescita della chiesa. E si esprime nella confutazione e la caccia a Epicuro, i
cu testi vengono criticati, esecrati e distrutti. Non subito. Per molte
generazioni , i cristiani colti rimasero imbevuti di una cultura i cui valori
erano stati plasmati dai classici pagani”. Tra essi per alcuni secoli anche
Epicuro: Tertulliano, Clemente Alessandrino, Atenagora - tutto il secondo
secolo - erano molto legati a Epicuro, per molteplici aspetti: la dottrina e la
pratica delle virtù sociali, la diffidenza verso le pratiche mondane, lo
spirito d’indulgenza, la virtù della generosità. Ma anche oltre: San Gerolamo,
quinto secolo abbondante, pur avendo deciso di darsi alla vita devota, non può
fare a meno di Cicerone e di Plauto. Poi la svolta: il dolore, il sacrificio. Probabilmente
col prevalere della chiesa sull’ecclesìa, la comunità. E del sacerdote – il professionista della fede - sulla cultura, le
lettere, la riflessione.
Il sottotiolo italiano è: “Come la
riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea”. Chiuse
il Medio Evo e stabilizzò le tendenza emergenti a un mondo che oggi diremmo
laico: aperto, critico. La scoperta del racconto è quella del “De rerum natura”
di Lucrezio. Fatta nel 1417 da un cavaliere solitario nel cuore della Selva
Ercinia, la Germania, nei recessi del grande e antico convento benedettino di
Fulda, nell’Assia, gelosamente custoditi dai frati. Il cavaliere solitario era
Poggio Bracciolini, di Terranova oggi Bracciolini, nell’aretino – di cui
nessuno s’è premurato di ristampare le “Facezie”, malgrado il successo di
lettura di questo suo “Manoscritto”.
Lucrezio segnò il trapasso alle nuove
tendenze, col ritorno della scienza, e di un approccio libero al pensiero.
“Un’intensa meditazione terapeutica sulla paura della morte”, segna Greenblatt,
ma anche di più. La fuoriuscita dal magico della magia per entrare nella magia
della natura. Di un poeta “attuale”: fenomenologico, ecologo, pacifista, laico
– e forse materialista.
Una narrazione con fascino nostalgico
anche del Rinascimento, oltre che del libro. Di un modo di essere proscritto,
se non perento, da qualche tempo, come ogni altra storia. Quale momento di
“liberazione delle forze che hanno modellato il nostro mondo”, recuperando,
alla fine di un’altra epoca senza radici,
il passato, la storia.
Stephen Greenblatt, Il manoscritto, Rizzoli (remainders), pp.
367 € 7,70
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