Antisemitismo
–
Si legava tra le due guerre in Europa alla rivoluzione. A un qualche complotto
sovietico, comunista, per rovesciare l’ordinamento libero europeo. Non però in
Germania, dove all’ebraismo si rimproverava il liberalismo, postrivoluzionario (dell’Ottantanove)
e postnapoleonico, di cui si era avvantaggiato. Il liberalismo si riteneva non
confacente alla Germania, alla tradizione e alla nazionalità. Questo un tema ricorrente, molto esplicito, degli
scrittori della “rivoluzione conservatrice”, compreso fino a un certo punto
Thomas Mann, che si trascura.
È spesso anticristiano più che antisemita
– al modo della “Volontà di potenza” e altre annotazioni di Nietzsche, che
invece era anti-antisemita. In molto antisemitismo tedesco, per esempio, da
Wagner e Schopenhauer a Heidegger. In Heidegger si vede nei “Contributi alla filosofia” e in
altri volumi che, come i “Contributi”, ha voluto postumi: la sua violenza è antigiudaica in
quanto anticristiana. Il cristianesimo è condannato in quanto “orientale”, “mediorientale”,
“giudeo”, ma sotto tiro è il cristianesimo.
Fascismo
–
Jünger lo fa liberale: “Il fascismo è senza dubbio solo una derivazione tardiva
del liberalismo, un processo semplificato e abbreviato, una versione, diciamo
così, stenografica della costituzione
statale liberale divenuta, per il gusto moderno, troppo ipocrita, verbosa, troppo
pignola”. Per questo, anche, il fascismo era da rifiutare, da parte dei
conservatori tedeschi: “Il fascismo non fa per la Germania, o tanto poco quanto
le si addice il bolscevismo: entrambi attraggono, certo, ma senza essere
soddisfacenti, ed è lecito sperare che il nostro Pese trovi una propria e più rigorosa soluzione”.
Jünger ne parla nel breve saggio “Sul
nazionalismo e sulla questione ebraica”, scritto nel 1930 per il numero di
settembre dei “Süddeutsche Monatshefte”, uno speciale intitolato “La questione
ebraica”, col contributo di alcuni intellettuali ebrei. Jünger vedeva “lo
spazio liberale” come la peste: “Lo spazi liberale ricopre un’estensione molto
più vasta di quanto generalmente si creda”. Allargandosi appunto al fascismo.
Grecia-Germania
–
S’immaginano Merkel e Schaüble sofferenti per i trucchi greci sul bilancio, che
tanti lutti minacciarono alle banche tedesche fiduciose. Ma finalmente a loro
agio ora che la Grecia si vuole combattiva. A lungo la Germania, da metà
Settecento e fino a Thomas Mann e ai suoi filosofi del Novecento, si è
identificata con i greci, intesi come popolo di guerrieri, per l’onore e per la
lotta in sé: “agonali” li voleva il diffuso sentimento di grossi calibri del
pensiero, Schmitt, Jünger, Heidegger.
Sull’autorità di Nietzsche (di questo, di più, in Giuseppe Leuzzi, “Gentile
Germania”, in libreria e in ebook). Sull’autorità in realtà di Alfred Baeumle, cattedratico
nazista, editore della raccolta “La volontà di potenza”.
Impero – Non fu greco,
fu romano. Non fu – non è - tedesco, è stato ed angloamericano. Si fonda
sull’unità d’intenti e di interessi – sull’interesse - e non sull’agonismo
costante, contro tutto e contro tutti. I greci, che indulgevano al polemos, lo spirito battagliero, si
facevano soprattutto le guerre tra di loro.
In questo senso è anche cristiano
(cattolico) e islamico. In quanto unisce. La sua forza può anche essere
l’irenismo: la chiesa ha anche praticato la guerra, e la guerra di tutti contro
tutti, dei genovesi per esempio e dei crociati in genere contro i greci di
Costantinopoli, anche loro buoni credenti, ma allora in perdita
Succede lo stesso ora al mondo
islamico, tra sunniti e sciiti, e tra sunniti. La Germania avrà fallito tutti i
tentativi, seppure determinati, organizzati, di farsi impero per avere
privilegiato la bellicosità e la distruzione.
Mosca
– È stata a lungo un luogo non luogo. Dove
le cose avvenivano senza eco, e quindi non avvenivano. Dei comunisti italiani,
per esempio, che vi si erano rifugiati, e sparivano senza una traccia – una voce,
un biglietto, un’accusa (“venivano a
prenderli di notte”, questo solo si sapeva e si sa). Teatro di rivolgimenti, e
anche di un colpo di Stato non molto tempo fa, nel 1991, ma afono. Capitale da
quasi un quarto di secolo di un paese libero e liberista, affarista, avventurista
anche, di cui poco o nulla si sa. Se non che le donne vivono ben diciotto anni
più degli uomini, meno attaccate alla vodka. L’aspetto più drammatico dell’assassinio
di Nemtsov, così teatrale, è che è caduto nel nulla.
Ha al centro la fortezza del cesaro-papismo,
necessariamente lugubre, per quanto ben tenuta e intonacata in chiaro. Vi conduce un’urbanistica ariosa, di strade
che si ampliano man mano che s’avvicinano al centro e all’affollamento.
Stazioni lunghe hanno i treni metropolitani, che si riempiono e si svuotano in
pochi secondi - è straordinario come le folle scompaiono a Mosca - e incroci
stradali con sottopassaggi per evitare i semafori. È stata, è, anche una città
da romanzi: sarà avventurosa sotto il cipiglio, nel non detto e non visto.
Robert
Byron ha visto a Mosca nel 1933 “una specie di Cinecittà, in cui i ruoli sono
assegnati”, tra il Bene e il Male. Ma è stata semrpe la città del sospetto, prima
ancora del sovietismo, e della guerra fredda. Era città di spie ai tempi di
Lenin, e anche degli zar. Perché il paese di cui è capitale è segreto? O Mosca,
come la Russia, sconta ancora il pregiudizio, un residuo di eurocentrismo?
Razzismo – Molto “Mein Kampf” Hitler tirò fuori da “The passing of the Great Race”.
Non
di una corsa, automobilistica o podistica, ma della “razza grande”, nordica,
dell’eugenista esimio Madison Grant, che fece le leggi per l’immigrazione negli
Usa, a danno dei latini, gli slavi e gli asiatici neri, contro la misgenation e per la morte misericordiosa
degli “imperfetti”.
Totalitarismo – È italiano. Il conio se ne
fa risalire a Giovanni Amendola, che poi sarà promotore e protagonista
dell’“Aventino”, l’abbandono del parlamento da parte dei deputati non fascisti dopo
l’assassinio di Matteotti e prima delle leggi speciali, “leggi fascistissime”,
nel corso del 1925, con la sospensione di fatto dello Statuto.
Nel 1923
Amendola disse il fascismo completamente diverso dalle forme note di dittatura,
e con ambizioni totalitarie, di dominio sulla vita culturale e associata. In
questo senso, con valenza positiva, fu subito dopo assunto da Giovanni Gentile.
E da Carl Schmitt messo al centro del “Le categorie del ‘politico’”, 1927. Jünger ha “La mobilitazione totale”, nel 1930.
Nel
senso di Amendola, pur non citandolo, Hannah Arendt affronterà il fenomeno
nell’immediato dopoguerra nel voluminoso “Le origini del totalitarismo”: come una forma di potere politico nuova
rispetto a quelle dittatoriali note, della tirannide, del dispotismo. Con
alcune differenze, però, rispetto ad Amendola. Una aggiuntiva: il totalitarismo
come movimento di massa, nella civiltà e la cultura di massa. E una limitativa:
il totalitarismo come irruzione del nuovo e della tecnica, con la distruzione
della tradizione. Che se si attagliava al sovietismo, era invece in contrasto
col fascismo e il nazismo, che al contrario si radicavano nella tradizione,
esclusiva, nel nazionalismo.
astolfo@antiit.eu
Merci pour l'explication, je trouve aussi que plus facilement, mieux …
RispondiEliminapaigeet