Disinformazione – Ha sostituito
l’informazione, a tutti gli effetti pratici. A lungo confinata nella pratica
dei servizi segreti, domina da qualche tempo l’opinion pubblica attraverso i
suoi organi d’informazione, anche i più seriosi. Abbiamo ogni giorno una pagina
contro la Russia. Così come contro l’Is. Come l’abbiamo avuta, prima che contro
l’Is, contro la Siria di Bashir Assad. E prima ancora contro Gheddafi. O ancora
prima, per quanto concerne l’Italia e la sua prima guerra dichiarata in regime
repubblicano, contro la Serbia, per creare una serie di stati balcanici
vassalli del Centro Europa. La tecnica del’informazione, di occupare gli spazi
informativi, è sostituita dalla disinformazione, dalla propaganda.
Tutta
la questione ucraina è stata infetta dalla manipolazione dell’opinione. Dalla “rivoluzione
arancione” in poi, e compresa la stessa rivoluzione. In misura minore, ma lo
stesso si può dire delle “primavere arabe”, dove spontanee proteste locali sono
state montate in eventi rivoluzionari. Ma sono svanite senza lasciare traccia –
nemmeno in Tunisia, contrariamente alle apparenze.
Uno dei primi vertici della disinformazione
fu, nel 1915, la teoria che il tedesco produce più cacca, e più puzzolente, di
un francese. Il neurologo Edgar Bérillon individuò nel 1915 la bromidrosi
fetida e la polichesia della “razza tedesca”. Aveva il precedente del vino
puro, anche se bevuto in modica quantità: “L’uso moderato del vino naturale
nuoce alla salute, se uno è artritico, degenerato, o sedentario. L’uso del vino
puro ha un’azione dannosa specie sul carattere delle donne. Le rende irritabili
e bisbetiche. È qui il punto di partenza di buon numero dei problemi nei
matrimoni. C’è di certo una relazione tra l’uso del vino puro e molti dei dissensi
coniugali che portano al divorzio”. E tuttavia era un personaggio onorato dalla
scienza medica, presidente della Società di Psicologia.
Sfuggì, forse perché astemio, alla
vendetta tedesca durante l’Occupazione nella seconda guerra, e morirà rispettato
a novant’anni nel ‘48.
Immagini – La prima
distruzione di immagini è quella cristiana dell’iconoclastia. Delle immagini
sacre esposte nei luoghi di culto. Per essa furibonde guerre civili furono
combattute, con migrazioni di massa, per esempio di buona parte del clero e dei
monaci della chiesa ortodossa verso i territori lontani di Bisanzio, il tema
Calabria soprattutto, e il Salento. Ma oggetto di iconoclastia furono anche
immagini non sacre. La Roma del santo papa Gregorio Magno fu spogliata di ogni
statua ancora visibile, comprese quelle dei santi: si frantumava per calcinare.
Per tutto il Medio Evo si sono bruciati monumenti e altari per ricavarne calce da costruzione.
Più
vaste ancora le distruzioni delle immagini in quanto opere d’arte. È anzi una
delle prime applicazioni dei movimenti rivoluzionari. Da ultimo quelli maoisti delle Guardie Rosse e
successivi – celebrati nel 1974 anche da Dario Fo. I mongoli si erano segnalati
in Cina per l’applicazione che posero nel calcinare case, castelli, cattedrali, monasteri. Bruciarono anche ogni singolo
pezzo di carta che vi trovarono. Le Guardie Rosse di Mao li imitarono. O
imitarono i rivoluzionari francesi di provincia. In quasi tutte le città minori
e i villaggi in Francia, palazzi, chiese e castelli furono distrutti archivi,
quadri e statue, e arredi.
Massoneria – A Roma non è
una novità, al governo e al Vaticano insieme. È avvenuto un secolo fa, tra Otto
e Novecento. E già un secolo prima, dopo l’arrivo di Napoleone in città. Renzo
De Felice ha esordito nella storiografia con “Gli Illuminati e il misticismo rivoluzionario”
a Roma dopo l’Ottantanove. La sto-ria di Ottavio Cappelli, piccolo massone, e
Suzette Labrousse, la quale, avendo sfiorato a Parigi Robespierre, voleva convertire
il papa alla Chiesa Universale Liberale. Roma pullulava di Illuminati, i
mistici laici.
Con gli Illuminati - e con Balsamo-Cagliostro -
Dumas fece la trilogia della Rivoluzione.
Sacco di Roma – Un evento quasi
normale, tante volte è stato ripetuto. Il primo
fu precoce, nel 390 a.C.. Da parte dei celti, i galli senoni, guidati da Brenno,
che marciarono dritti dalla loro “capitale” Senigallia. Ottocento anni dopo si registrò il
sacco dei Visigoti di Alarico. Al terzo tentativo: dopo l’assedio del 408 e del
409, il terzo si concluse con lo sfondamento, il 24 agosto 410, e la
devastazione di Roma. Il terzo sacco di Roma
fu opera dei Vandali, in guerra con l’imperatore Petronio Massimo, il 2 giugno
del 455.
Wikipedia
ne registra successivamente due marginali: nel 472 l’assedio da parte dei goti,
comandati da Ricimero, e nell’846 il saccheggio delle basiliche fuori le mura
di San Pietro e San Paolo, da parte dei Saraceni. Altri due assedi, di natura
analoga, sono da registrare anche da parte del duca di Spoleto, il longobardo
Ariulfo, nel 591 e nel 593. La prima volta si limitò a minacciare l’assedio, che
non pose in cambio di un tributo. I bizantini, che il papa Gregorio Magno aveva
chiamato in aiuto, non si mossero. Si mossero due anni dopo per bloccare le
trattative che il papa aveva intavolato coi Longobardi viciniori, di Spoleto e
di Salerno. Ma la cosa dette fastidio anche al re dei Longobardi Agilulfo, che
da Pavia mosse nel 593 contro i bizantini e i duchi Ariulfo e Arechi, ma finì
per porre l’assedio al papa, a Roma. Un assedio simulato, per una richiesta di
riscatto: Gregorio Magno dovette pagare cinquemila libbre d’oro, e impegnarsi a
un ingente tributo annuo.
Il
successivo sacco di Roma, nel 1084 da parte dei Normanni di Roberto il
Guiscardo, riunisce tutte le contraddizioni della storia della città. Un altro
papa Gregorio, Gregorio VII, era finito assediato nel giugno 1083 a Castel S. Angelo
dai tedeschi dell’imperatore Enrico IV. Che avevano occupato la città, e la
tennero occupata per un anno, senza devastazioni. Gregorio VII chiese l’aiuto
di Roberto il Guiscardo. Un anno dopo, il 21 maggio 1084, il Guiscardo
entrò a Roma con 36 mila uomini e diede avvio
a una tre giorni di saccheggio senza limiti. Enrico IV si ritirò, Gregorio VII
dovette lasciare la città e si rifugiò dal duca longobardo di Salerno –
scortato da Roberto il Guiscardo.
Il
classico naturalmente è quello di Carlo V, l’imperatore cristianissimo. Che
il 6 maggio 1527 scatenò nella città i lanzichenecchi, le truppe tedesche del
suo esercito. Il sacco di Roma più devastante, ma anche il più giustificato:
il papa Clemente VII aveva promosso un anno prima un’alleanza antiasburgica,
detta lega di Cognac – anche irriconoscente:
quindici anni prima le truppe spagnole avevano saccheggiato Prato e
minacciavano il sacco di Firenze se la città, repubblicana, non si fosse riconsegnata
ai Medici (Clemente VII era un Medici). Nel
giugno 1413 anche Ladislao d’Angiò Durazzo, filgio di Carlo III d’Angiò e
Margherita di Durazzo, re di Napoli, aveva messo a sacco la città, rapinando le
case e i palazzi, saccheggiando i santuari, il 24 aprile 1408. In odio a un
altro Gregorio, papa Gregorio XII, contro il suo tentativo di far rientrarlo scisma
avignonese.
Di
tutti gli invasori di Roma se ne astennero i tedeschi nel 1943.
Tarantola – Prima di
diventare il nome della giustizia giustizialista di Milano, di origine
valtellinese, confessionale, e della direzione generale della Rai, anzi prima
ancora di diventare il ballo semindemoniato che Ernesto De Martino ha indagato in
Puglia, l’animaletto fu l’alleato dei mussulmani in Italia. Al secondo
tentativo di conquista della Sicilia in mano agli arabi, nel 1064 Roberto il
Guiscardo poté attraversare quasi tutta l’isola e arrivare fin sotto Palermo.
Ma l’accampamento fu invaso di notte dalla tarantole, che misero le sue truppe
in rotta, e il Guiscardo abbandonò sdegnato la Sicilia – la conquista normanna
fu completata otto anni dopo da Ruggero, il conte di Sicilia fratello del
Guiscardo.
astolfo@antiit.eu
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