Berlino - “Matrigna
delle città russe”, la dice Nabokov - come di tutto l’Est.
Bisognerebbe conoscere la Russia,
anche per capirne la tristezza.
Guerre civili europee
– Non
c’è altro continente che ne abbia combattuto, e ne combatta, tante. Sarà
effetto della densità della popolazione, ci pestiamo i piedi?. Ma anche l’Asia,
benché spaziosa, è densamente popolata. Sarà
l’effetto dell’istinto competitivo? Ma c’è di più competitivo che gli
americani, o i cinesi? Sarà un dato caratteriale, un fondo di violenza innato,
come la lingua. Alimentato magari dall’inbreeding,
non tanto fisiologico quanto culturale: il culto dell’ombelico.
La
storia di questi ultimi vent’anni dopo la caduta del Muro sarà stata una storia
di infamie, un segmento speciale e diffuso. La Jugoslavia per prima, con dieci
anni, poco meno, di guerre civili, volute, innescate, e armate dall’Europa.
Subito poi l’Ucraina. Per volere di personaggi poco qualificati, Sarkozy,
Angela Merkel, i polacchi senza nome.
Si
dice l’anarchia conseguente alla mancanza di leadership, la Germania rifiutandosi di esercitarla. In realtà la
esercita, ma al modo di Angela Merkel, “troppo poco troppo tardi”, cioè sempre il
peggio.
Femminicidio – Già Aristotele
lo sconsigliava, dice Machiavelli nei “Discorsi”, Libro Terzo, XXVI (“Come per cagione di femine si
rovina uno stato”), 10: “Aristotile, intra le prime cause che mette de la
rovina de’ tiranni, è lo avere ingiuriato altri per conto delle donne, co
sturarle, o con violarle, o con rompere i matrimoni”.
Più
“di questa parte”, minaccioso, Machiavelli dice di aver detto al capitolo sulle
congiure. Ma al cap. VI dello stesso libro (“Delle congiure”) non ne ha
parlato, giusto per dire che “l’onore delle donne” viene subito dopo quello del
sovrano.
Machiavellismo – Machiavelli non
fu machiavellico, si sa: non all’origine dell’aggettivo - e neppure, da qualche
tempo, più imputato. Fu arma protestante contro le potenze cattoliche. Machiavellica?
I protestanti non avevano letto – non ne è rimasto commento – Machiavelli.
Di
Innocent Gentillet, calvinista, non è rimastra traccia. E di Federico il Grande
di Prussia, del suo “Anti-Machiavelli” – molto lavorato anche da Voltaire, il “negro”
del sovrano - la lettura si ripropone come esemplare del “machiavellismo”.
Non
si pratica molto da qualche tempo in Italia, nemmeno come offesa. Leopardi ha
un “machiavellismo di società”, ma non ha fatto presa. Fu esercitazione di
scrittori cattolici, Campanella compreso, nel secondo Cinquecento, che dello
scrittore Machiavelli temevano il fondo materialista.
Pluralismo – Hannah
Arendt elaborò il concetto in chiave di democrazia di base, di allargamento
della democrazia. Una valvola di sviluppo della libertà politica e dell’uguaglianza
sociale. Una forma di “inclusione dell’altro”. Che però non riteneva favorita
né garantita dalla istituzioni costituzionali, dalla democrazia rappresentativa.
Un pluralismo efficace sarebbe venuto, argomentava, con i consigli e ogni altra
forma di democrazia diretta.
Norberto
Bobbio lo ha introdotto in Italia riducendolo all’alternanza di governo. Nel
solco giolittiano dell’allargamento sociale del potere. Ma sostanzialmente un
tributo al Pci, che poteva essere “diverso”, nel “compromesso
storico” con la Dc. Solo obiettava alla pretesa comunista di “egemonia”. Non culturale,
che in fondo accettava, ma politica.
Tunisia – È un caso di
involuzione borghese. Non eccezionale: tutte le “primavere arabe” sono a vari
livelli un’automutilazione delle borghesie – urbane, professionali,
commerciali. Ma quella tunisina più di tutte, e anzi totalmente.
“La
Tunisia si presenta” campeggia a Roma a piazza Venezia sul Vittoriale: una
mostra per dire la modernità e la simpatia del piccolo paese. Che fu tra i
primi paesi colonizzati ad arrivare all’indipendenza nel 1956, con il movimento
indipendentista moderato Neo Destur. Con una modesta rendita petrolifera, ma
con una larga classe dirigente, dei Nouira, dei Mestiri, dei Gannouchi, e una
leadership, dei Burghiba-Ben Ammar. Molto legato all’Europa. All’apertura del Ramadan, il mese del digiuno, Burghiba, presidente
laico, diceva una preghiera e spiegava che chi lavora può bere, e se necessario
nutrirsi anche durante il giorno. Nel mentre che restaurava le grandi moschee di
Kairuan, al centro del paese.
Un
paese povero ma dignitoso, e organizzato.
Protagonista di una politica mediterranea dell’Europa che fu quasi un “allargamento”
al Sud – fu la prova generale, sfortunata, di quello che si sarebbe poi realizzato
trent’anni dopo a Est. Con una
produzione agrumicola e olearia integrata a quella europea, siculo-calabrese. I
suoi ebrei non disturbavano. Gli investimenti stranieri erano benvenuti, nel
turismo, nell’immobiliare, nell’agroindustria. I tunisini emigrati erano modesti
e laboriosi, e ovunque bene accetti, da Mazara del Vallo alla Bretagna. Un
paese del Terzo mondo che tra i primi avrebbe potuto approdare al benessere.
Col turismo, la pulizia, la socievolezza, e anche un principio di
industrializzazione. La lavorazione per terzi, di pelletteria e abbigliamento
debuttò in Tunisia, prima che in Marocco, in Romania e Turchia.
Il
fondamentalismo religioso è arrivato per reazione, di un nazionalismo male
inteso, come antitesi all’Occidente, all’Europa confinante. Di una reazione,
però, borghese – non classista, non di popolo. Altrove è un episodio della
democratizzazione: delle masse popolari che si sostituiscono, al seguito di
demagoghi, al costituzionalismo, cioè
alla borghesia urbana. Dall’Iran via via all’Egitto di Morsi. In Tunisia è stato
un inviluppo interno alla borghesia, per un’autocoscienza male intesa.
Il
velo, scomparso per decenni dalle città, è stato reintrodotto dalle giovani
universitarie. Delle grandi famiglie, i Mestiri, i Ghannouchi – Yusra, la
figlie prediletta del patriarca Rashid, ne è l’alfiere. Così come l’abbandono
del bilinguismo, a favore del’arabofonia: è stato voluto dai giovani colti,
affluenti. Tutto naturalmemte con l’ambizione di domare l’islam. D’instaurare una
“democrazia islamica” all’insegna delle democrazie cristiane europee. Un po’
come con Erdogan in Turchia: un corpaccione politico di centro. Ma senza la
capacità di potere e di controllo.
Ucraina – Suona a Santa
Cecilia a Roma il pianista Alexander Romanovski. Giovane, applaudito, triste. È
ucraino, russo. Si capisce come l’Europa “democratica” abbia rovinato un
popolo, milioni di vite, diecine di milioni di vite. Per niente, non c’è
nemmeno niente da rubare in Ucraina. Per stupidità. Si vorrebbe dire per
malvagità, ma non c’è nemmeno quella. Angela Merkel non è malvagia. Obama lo è?
no. O Donald Tusk, o come si chiama l’imperdibile polacco che sempre ci mette
nel sacco.
Al
programma di sala che gli sottopone il “questionario di Proust”, alla domanda “La
sua idea dell’infelicità?”, l’infelice Romanovsky risponde: “Vivere una guerra
circondata da tante menzogne come oggi succede in Ucraina”. Altro che libertà.
astolfo@antiit.eu
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