Il classico della disinformazione in
tempo di guerra – della propaganda. Riedito per la terza volta in un decennio,
segno che ce n’è bisogno. Ma per una curiosa inversione rispetto all’analisi di
Bloch: ora è l’opinione che vuole le false informazioni, o comunque se ne
nutre, gli Stati Maggiori e i governi devono solo trovarne di fantasiose.
Bloch si riferisce alla sua propria
esperienza nel 1914-18 – “Ricordi (1914-19218) e riflessioni (1921)” è il
sottotitolo. Fece la guerra in trincea e nella sezione “Ricordi” ne riferisce.
Riferisce solo la sua propria esperienza, quella di cui era stato protagonista
o testimone. Nelle successive “Riflessioni” mette invece in chiaro le varie
false notizie di cui le trincee e le retrovie erano bombardate. Una riflessione
la cui pietra di paragone restava sempre il famoso “telegramma di Ems”, di
Bismarck per indurre Napoleone III a fargli la guerra che era sicuro di
vincere.
Nella Grande Guerra già molto era
cambiato rispetto all’Ottocento: la damnatio
del nemico fu piena di eccessi, e ci un’anteprima della “mobilitazione totale”.
Storici come Bloch e scrittori come Kipling vi erano impegnati. Mentre i cattedratici
tedeschi quasi al completo e scrittori come Tomas Mann argomentavano con
violenza il diritto di aggressione. La propaganda arrivò al ridicolo, del tedesco
che produce più cacca, e più fetida, di un francese.
Se Bloch avesse analizzato la seconda
guerra mondiale, e più il secondo dopoguerra, avrebbe tratto probabilmente
altre conclusioni. La guerra fredda è stata una guerra d’opinione, e l’ha
infettata al punto che ora non è “smobilitabile”. L’opinione resta “armata”,
anche se non sa più contro chi e che cosa, e a favore di quale “patria”. Chiunque
ha un minimo di conoscenza degli affari internazionali, sa che viviamo in un’epoca
di false notizie. La bellicosità latente succeduta alla minaccia termonucleare
è una guerra di (false) notizie.
Marc Bloch, La guerra e le false notizie, Fazi, pp. 136 € 10
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