Un colportage
anticipato, a ridosso della stampa (quasi) in serie. La diffusione era sempre
ristretta, e non era propriamente popolare, anzi, gli emblemi di Alciato sono
in latino. Ma inavvertitamente, per amore di novità, l’umanista ambrosiano operava
per portare le arti liberali - la poesia, la filosofia pratica, la religione, la
mitologia - alla portata del maggior numero, con illustrazioni e didascalie. L’opera
ebbe 150 edizioni, qualcuna di più in poco più di un secolo, tra Cinque e
Seicento. Con traduzioni in italiano, in
francese, in spagnolo, in tedesco e in inglese.
Alciato, professore di diritto ma umanista a tutto campo,
fu personaggio molto famoso in vita in tutta Europa. Insegnò per tre-quattro anni a Avignone, dove molti intellettuali
europei si recarono ad ascoltarlo, insignito infine da Leone X del titolo di
conte palatino. Fu poi avvocato a Milano,
la sua città, tornò ad Avignone per un paio d’anni, poi insegnò a Bruges, e
infine a Pavia – dove però stava malvolentieri, e per vari anni si assentò, per
insegnare a Bologna e a Ferrara. Era una personalità molto nota tra gli
umanisti europei, apprezzato dallo stesso Calvino, autore di una prefazione a
un suo scritto pubblicato a Parigi nel 1530. Alciato era pubblicato ovunque, a
Basilea, a Lione, a Parigi. E ad Augusta, dove nel 1531 furono stampati questi
“Emblemata”.
Con gli “Emblemi” Alciato volle gareggiare con Erasmo, col quale
era in corrispondenza, con i suoi “Adagia”, arricchendo le moralità, in brevi
distici, in latino, di illustrazioni. Ma non aveva la vivacità di Erasmo, era
un collezionista, di versi altrui. A Milano, mentre ancora studiava, collezionò
due libri di epigrafie latine, “Monumentorum veterumque inscriptionum collectanea”.
A Erasmo aveva anche fatto avere un
trattatello antimonastico, “Contra
vitam monasticam”, che poi volle indietro, per paura della reazione anti-Riforma
(ilo scritto sarà pubblicato in Olanda a fine Seicento).
Si
gareggiava nel Cinquecento, e ancora nel Seicento, in emblemi e blasoni. Genere
non nuovo, usava già nel Medio Evo. Arricchito, dopo l’umanesimo, con la
mitologia classica. La raccolta Alciato pubblicò nel 1531 in 104 emblemi, ognuno
illustrato da una xilografia. Che nelle edizioni successive arricchì, fino ai
190 di quella veneziana del 1546 – una postuma, padovana, nel 1621, fu
accresciuta a 212. Questa edizione riprende quelle del 1531 e del 1534. In
forma di regalo, un’edizione fastosa e critica insieme, la stessa del 2009, curata da Mino Gabriele, lo studioso di iconografia e iconologia, in collana economica.
Mario Praz,
che ne fu cultore, ha scritto diffusamente degli emblemi, cui più di tutto si
appassionava, negli “Studi sul concettismo”. Il genere per eccellenza, lo dice,
dell’“oraziano utile dulci,
la base teoretica di tutta la letteratura fino ai giorni nostri”. Con fine pedagogico,
morale – e come tale sarà fatto proprio anche dai gesuiti: gli emblemi sosterranno
“la tecnica ignaziana di applicare i sensi per aiutare l’immaginazione a
raffigurarsi in minuti dettagli il trasporto religioso, l’orrore del peccato e
il tormento dell’inferno, le delizie di una vita pia”. Ma questo è già il fine
di Alciato. “Esse rendevano accessibile a tutti il soprannaturale
materializzandolo”, aggiunge Praz: “La fissità dell’immagine emblematica era
infinitamente suggestiva”.
Andrea Alciato, Il
libro degli emblemi, Adelphi, pp.
LXXVI-745, ill., € 22
Free online https://archive.org/details/emblemataandreae00alcia
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