giovedì 5 marzo 2015

La morale in poesia e in immagine

Un colportage anticipato, a ridosso della stampa (quasi) in serie. La diffusione era sempre ristretta, e non era propriamente popolare, anzi, gli emblemi di Alciato sono in latino. Ma inavvertitamente, per amore di novità, l’umanista ambrosiano operava per portare le arti liberali - la poesia, la filosofia pratica, la religione, la mitologia - alla portata del maggior numero, con illustrazioni e didascalie. L’opera ebbe 150 edizioni, qualcuna di più in poco più di un secolo, tra Cinque e Seicento. Con traduzioni in italiano, in francese, in spagnolo, in tedesco e in inglese.
Alciato, professore di diritto ma umanista a tutto campo, fu personaggio molto famoso in vita in tutta Europa. Insegnò per tre-quattro anni a Avignone, dove molti intellettuali europei si recarono ad ascoltarlo, insignito infine da Leone X del titolo di conte palatino. Fu poi avvocato a Milano, la sua città, tornò ad Avignone per un paio d’anni, poi insegnò a Bruges, e infine a Pavia – dove però stava malvolentieri, e per vari anni si assentò, per insegnare a Bologna e a Ferrara. Era una personalità molto nota tra gli umanisti europei, apprezzato dallo stesso Calvino, autore di una prefazione a un suo scritto pubblicato a Parigi nel 1530. Alciato era pubblicato ovunque, a Basilea, a Lione, a Parigi. E ad Augusta, dove nel 1531 furono stampati questi “Emblemata”.
Con gli “Emblemi” Alciato volle gareggiare con Erasmo, col quale era in corrispondenza, con i suoi “Adagia”, arricchendo le moralità, in brevi distici, in latino, di illustrazioni. Ma non aveva la vivacità di Erasmo, era un collezionista, di versi altrui. A Milano, mentre ancora studiava, collezionò due libri di epigrafie latine, “Monumentorum veterumque inscriptionum collectanea”. A Erasmo aveva anche fatto avere un trattatello antimonastico, “Contra vitam monasticam”, che poi volle indietro, per paura della reazione anti-Riforma (ilo scritto sarà pubblicato in Olanda a fine Seicento).
Si gareggiava nel Cinquecento, e ancora nel Seicento, in emblemi e blasoni. Genere non nuovo, usava già nel Medio Evo. Arricchito, dopo l’umanesimo, con la mitologia classica. La raccolta Alciato pubblicò nel 1531 in 104 emblemi, ognuno illustrato da una xilografia. Che nelle edizioni successive arricchì, fino ai 190 di quella veneziana del 1546 – una postuma, padovana, nel 1621, fu accresciuta a 212. Questa edizione riprende quelle del 1531 e del 1534. In forma di regalo, un’edizione fastosa e critica insieme, la stessa del 2009, curata da Mino Gabriele, lo studioso di iconografia e iconologia, in collana economica.
Mario Praz, che ne fu cultore, ha scritto diffusamente degli emblemi, cui più di tutto si appassionava, negli “Studi sul concettismo”. Il genere per eccellenza, lo dice, dell’“oraziano utile dulci, la base teoretica di tutta la letteratura fino ai giorni nostri”. Con fine pedagogico, morale – e come tale sarà fatto proprio anche dai gesuiti: gli emblemi sosterranno “la tecnica ignaziana di applicare i sensi per aiutare l’immaginazione a raffigurarsi in minuti dettagli il trasporto religioso, l’orrore del peccato e il tormento dell’inferno, le delizie di una vita pia”. Ma questo è già il fine di Alciato. “Esse rendevano accessibile a tutti il soprannaturale materializzandolo”, aggiunge Praz: “La fissità dell’immagine emblematica era infinitamente suggestiva”.
Andrea Alciato, Il libro degli emblemi, Adelphi, pp. LXXVI-745, ill., € 22
Free online https://archive.org/details/emblemataandreae00alcia

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