Specialista di politica estera, inviata
del “Wall Street Journal” in Medio Oriente, responsabile del settore editoria
del gruppo Dow Jones, di cui il marito Peter Kann è stato a lungo presidente,
nel febbraio 2007 Karen House scrisse una serie di articoli per il quotidiano dopo
un soggiorno di un mese in Arabia Saudita, ora raccolti in libro. Mescolando le
cose viste con le conoscenze maturate negli anni. Non un giornalismo investigativo,
anzi piuttosto ufficiale, ma problematico.
“La sua gente, il passato, la religione,
le linee di frattura – e il futuro” è il sottotitolo. Il monolitismo è quello
che si vede. Una casa regnante di fratellastri, che hanno saputo evitare le
guerre fratricide, Uno stato patrimoniale nel senso weberiano, cioè di cosa
“privata” della famiglia regnante, con ruoli e quote per ognuno dei duemila,
ormai, principi reali. Con un governo che è un consiglio della Corona, di
burocrati al servizio del re.
Tra i punti di frattura viene in primo
luogo l’anomalia stessa che finora ha fato la fortuna del regno: lo Stato
patrimoniale. Un caso unico in tutto il mondo. La famiglia regnante gestisce
ogni forma di potere politico, e ogni attività economica, sia finanziaria che
industriale e tradizionale. L’economia è pertanto privata-pubblica, nel senso
che dipende dagli investimenti della famiglia regnante. Nella stessa penisola
arabica, gli altri principati sono molto più avanti verso una modernizzazione
nel senso dei diritti civili, se non politici, e della libertà di opinione. In
Arabia Saudita un potere in qualche modo costituzionalizzato è escluso. Come
spiega il principe al Turki, ex governatore di Riad, una democrazia in qualche
modo rappresentativa avrebbe un solo esito: “Ogni tribù si farebbe il proprio
partito”
La famigli reale è a suo modo un piccolo parlamento. Diviso in
clan, venti, tanti quante sono state le mogli influenti, cioè di tribù
importanti, che hanno dato figli al fondatore della dinastia, Abdelaziz Ibn
Seud (1876-1953). Dei venti, House ne conta ora otto importanti. E converge
sull’opinione prevalente che dà un ruolo di spicco al clan dei Sudeiri, i figli
della sesta moglie di Ibn Seud. Che ha avuto un solo re, Fahd, il predecessore
del re appena deceduto, Abdallah, ma ha gli interessi prevalenti in tutti i
settori economici e militari, e ha il sovrano in carica, Salman.
Altri punti di frattura sono molteplici
e evidenti. Una popolazione cresciuta in sessant’anni da 3 a trenta milioni. Quindi
in prevalenza giovane e molto giovane. Quasi tutta beduina e ora prevalentemente
urbana. Una popolazione attiva limitata agli immigrati, circa nove milioni –
dal Medio Oriente e dal subcontinente indiano. La quota saudita della forza
lavoro è giovanile, e limitata ai diplomati, per impieghi pubblici.
L’insegnamento è affidato alle autorità religiose. La modernizzazione è tutta
esteriore: grandi strade, grandi edifici, grandi centri commerciali. Il diritto
non è stato ammodernato, se non per la parte commerciale, relativa all’ex-import,
e fiscale, relativa agli investimenti. Le donne non hanno nessun diritto, nemmeno
di guidare l’automobile per fare la spesa ai centri commerciali.
La casa regnante House ritiene molto più
moderna che il resto del paese. Ma necessariamente prudente.
Karen Elliot House, On Saudi
Arabia, Vintage, pp. 320 € 16,60
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