L’autore è creatore. L’analogia non è
nuova, ma l’autore di Dorothy Sayers è anche trinitario, e spiega la Trinità,
il mistero dei misteri religiosi: una triade governa il processo creativo,
Idea, Energia (la carica creativa) e Potere (la capacità di modellare). Non
impersuasivo, e per di più divertente.
“Suppongo che di tutti i dogmi cristiani
la dottrina della Trinità goda la peggiore reputazione di oscurità e lontananza
dall’esperienza comune”, la scrittrice non bara. Con “l’effetto per chi la
contempla di cecità, per assenza o per eccesso di luce”. Ma questo è quello che
si propone, di “dimostrare” la Trinità. Non solo in Dio ma anche nello
scrittore – che fa Dio.
Un saggio fuori tempo, fuori misura
anche – sicuramente fuori dalla speditezza di lord Wimsey, il gentleman per
caso detective per cui Sayers è famosa. Ma divertente, seppure non facile. E ad
ogni piega vero, seppure paradossale. È anche tortuoso, ma si vorrebbe non
averlo finito. Per l’assunto bislacco, e per le tante scoperte –
riconoscimenti, ritrovamenti.
Non è un divertimento. La Trinità
Sayers affronta da conoscitrice della materia, figlia di pastore. Dal credo di
sant’Attanasio alla Theologia Britannica,
la Theologia Germanica, sant’Agostino
naturalmente, san Tommaso d’Aquino, e i molti aristotelici di Oxford. Dove si
laureò in lingue e letterature medievali – nel 1913 una donna non poteva
laurearsi, il titolo le fu riconosciuto dopo la guerra. Ragazza madre, poi
sposata a un divorziato, Atherton Fleming, un giornalista, femminista,
insegnante (anche in Normandia), pubblicitaria (accreditata di slogan ancora
famosi), drammaturga, filologa (tradusse la “Divina Commedia”, “la mia cosa
migliore”, con tre volumi di “dantesca”), pedagoga (il suo manuale “The Lost
Tools of Learning”, 1947, è stato a lungo libro di testo negli Usa),
un’attività non smise mai: la controversia religiosa. Elisa Grimi, “The Dragon
Lady”, la ricorda combattiva al Socratic
Club di Oxford ancora nel 1948, in una celebre contesa con Elizabeth Anscombe
attorno a “Miracoli”, il trattato filosofico con cui C.S. Lewis, filosofo in cattedra e presidente del Club,
intendeva consacrarsi – una contesa al termine della quale Lewis abbandonerà di
colpo la filosofia per buttarsi nella fantasy, con le “Cronache di Narnia”,
l’Harry Potter degli anni 1950. Ma è anche un divertimento.
Niente beghinismo. “Dio è misterioso”,
esordisce, “e così, per quel che vale, è l’universo, e ogni altro uomo e ogni
altro sé, e la biscia sul viottolo in giardino; ma nessuno di questi è così
misterioso da corrispondere a niente nell’umana conoscenza”. Si usa far
discendere da Dio tutte le cose. Dorothy Sayers vuole fare il cammino inverso:
ascendere a Dio, anzi al Dio più misterioso, della Trinità, attraverso il suo
lavoro. Di scrittrice. Quindi creatrice, anche lei. Sfidando il giapponese
della barzelletta: “Onorevole Padre, benissimo. Onorevole Figlio, benissimo. Ma
Onorevole Uccello non lo capisco”.
Lo fa per analogia. Stabilito
preliminarmente che tutta la conoscenza, di Dio e dell’ultimo essere,
dell’ultima parola, è analogica: Dio si conosce per analogia, il linguaggio è
analogico. Non però un archetipo platonico: la Trinità è qualcosa derivata
dall’esperienza. Di autore: “L’esperienza dell’artista prova che la dottrina
trinitaria dell’Idea, Energia, Potere è, piuttosto alla lettera, cosa intende
essere: una dottrina della Mente Creativa”. Idea, Energia, Potere è il processo
creativo quale Sayers individua
d’acchito. Tre categorie – momenti della creazione - arbitrarie e fattuali.
Come le tre unità drammatiche di Aristotele, che sono “affermazioni di
fatti” non “editti arbitrari”. In
compagnia di molti ricostituenti exempla.
Analogamente, se l’autore è Dio, Dio è
lo scrittore. L’analogia si realizza in forma di autobiografia. Nella creazione
Dio scrive la sua autobiografia. E come l’autobiografia (lo scrittore non può
darci due autobiografie, non può cioè mostrarsi come due persone con due vite
differenti), la creazione è unica. Potere, power,
ha in inglese connotazione simile all’Energia, e in italiano all’organizzazione
politica e sociale, ma qui è la capacità di rileggersi (analizzarsi, emendarsi)
e di comunicare agli altri.
Tutto-padre
e tutto-figlio
Unica avvertenza: la Trinità dello scrittore
è “scalena”: “La co-parità della Trinità Divina è rappresentata in pitture e
negli emblemi massonici come un triangolo equilatero; ma la trinità dello
scrittore è raramente altro che scalena, e talvolta è fantasticamente
irregolare”. Con l’avvertenza, per di pi più, del “Credo” di sant’Attanasio –
di cui fa molto caso, a partire dall’esergo: “Un Padre, non tre padri; un
Figlio, non tre figli; uno Spirito Santo, non tre spiriti santi”. Che detto
della divinità sembra strano, ma dell’autore no. Il tutto-padre è quello che
con l’Idea ha già risolto – a volte è anche un critico, l’ “erudito
secco-come-polvere”, a volte quello famoso che “ha l’idea più meravigliosa di
un libro, se solo avesse il tempo di sedersi e scriverlo”. Un patripassiano. E così il
tutto-figlio, che si riempie di se stesso (Swinburne, gli eufuisti, “Meredith
al suo peggio”, in parte Joyce, “la verbosità attaccapanni”, con due pagine di
Anna Livia Plurabelle e il Liffey, il fiume, che a Dublino chiamano anche Anna
Liffey…).
Un trattatello ricco di umori, e di
intelligenza critica. A partire dalla “lettura” della nostra ricezione. Di
“Amleto” che “sappiamo a memoria”, e delle novità. Non per altro, per “il
potere di associazione delle parole”. L’analogia con la creazione artistica è
deliziosa. Fluida, magnetica. Molto fattuale peraltro: è come il paradiso del
Dio dei teologi, “immanente e trascendente”.
L’analogia accompagna di persuasive
verità, in forma di linguaggio corrente. “L’universo non è un lavoro finito”. E
se è un dramma, possiamo recitarlo, anche bene,
senza averlo “letto”, senza sapere di che si tratta – succede agli
attori del cinema, e anche del teatro (una famosa attrice lo fece per decenni,
Mrs. Pritchard, l’“ispirata idiota” di Jonson). Per il creatore è diverso: la
creazione è un “atto d’amore”, e “l’amore è la più crudele delle passioni” –
oggi “inflazionata di ogni sorta di associazioni, dalle più banali alle più
tremende”, ma anche qui l’analogia aiuta: è anzitutto l’amore di se stessi.
Molto si tratta di teatro, la passione
più vera, inappagata, dell’autrice - non ne resta nulla, giusto la menzione di alcuni
drammi radio per la Bbc sulla vita di Gesù. Con un capitolo sul problem solving o la detective-story. Ma con insorgenze, da conversatrice amabile.
Immaginazione è fantasia? “L’immaginazione creativa è la nemica della fantasia,
e il suo antidoto”. Il potere della parola è evocativo (T.S.Eliot), associativo
(Joyce), trasfigurativo (Sayers – ma comune: un passo non rilevante del suo
“Nove Sarti” fa ascendere al Libro di Giobbe, al Libro di Isaia, ai Salmi di
David, e a Milton, Keats, Browning, Tennyson, Camile Doyle, T.S.Eliot, Donne, nonché
agli angeli del soffitto della chiesa in parrocchia…). E c’è un potere cieco
della parola, denso: “Quando Salomone o chi per lui scrisse il “Cantico dei
cantici” non intese scrivere un
epitalamio del Cristo con la sua chiesa”, e tuttavia. O la fenomenologia: “Cominciamo a sospettare che l’approccio
puramente analitico ai fenomeni ci sta portando solo più e più in là nel’abisso
della disintegrazione e della casualità”. E se “è vero, come i
panteisti dicono, che il creatore è semplicemente la somma di tutte le sue
opere”, allora Shakespeare è il tomo con tutte le sue opere?
La teologia alla fine non c’entra – c’è
all’inizio per rompere le difese? È giusto un vangelo per autori. Di una messia
un po’ caustica. Soprattutto per aver agganciato i lettori fedeli all’amo
indigesto della teologia – non siamo tutti laici e anzi agnostici?Dorothy Sayers, The Mind of the Maker, HarpeOne, pp. 229 € 12
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