Ariani – Sono la cattiva coscienza
della filologia. Dell’Europa anche, di una certa Europa, ma della sua
filologia. La filosofia , compreso l’ “antropologo” Kant per molti aspetti
sollazzevole, se ne tenne lontana – lontana dagli “aria”.
Una
cattiva coscienza anche duratura. Basata sulle affinità linguistiche tra popoli
geograficamente sparsi. Che si vollero unificare nell’indo-europeo, “popolo di signori”. Una radice
e un popolo – una “razza” - che non si trovano. Per evitare le comuni radici
semitiche e mediorientali – mesopotamiche. Come solo onesti filologi isolati,
quali Semeraro, e ora il protostorico Demoule (“Mais où sont passés les
Indo-Européenes”?) osano contestare, e la negletta, semplicissima,
incontestabile “Black Athena” di Martin Bernal.
L’ariano o indo-europeo (più spesso indo-germanico) s’impone con la “storia della Grecia”. La quale nasce nel 1840, quando la filologia
critica interruppe il filone della storia provvidenziale e se ne fece giudice,
libera quindi d’inventare l’“arianesimo”. Che l’università Georgia Augusta di
Gottinga, appositamente creata, veniva elaborando da un secolo. Con l’ausilio di Oxford, con
seguito di letterati e pensatori, gli stessi Coleridge e Carlyle, spinti dalla
romantica riscossa contro la democrazia ugualitaria della Rivoluzione - a lungo
fondò la latinità l’ambizione repubblicana di uguaglianza, la grecità la
protezione dell’individuo. A un certo punto, dice il modello “ariano” della
storia greca, dal Nord arrivano gli elleni, parlanti indo-europeo, e soggiogano
la cultura egea.
Rinata
dopo la disfatta nel ‘18 a centro meritorio della fisica, con la meccanica
quantististica di Heisenberg, Pauli, von Neumann, Oppenheimer e Born, Gottinga
è stata per due secoli la culla della storia
eretta a scienza grazie all’invenzione della filologia. Con gli “ariani” e
la Grecia fu tedesca pure Roma, la letteratura romanza, la storia, la chimica,
la filosofia. Incluso il Giordano Bruno italiano, riportato in vita quattro
volte nel solo Ottocento, da Adolf Wagner, Lagarde, Lasson, Kühlenbeck – dopo
essere stato salvato ai posteri dai re di Francia e d’Inghilterra.
Nel 1770 Blumenthal aveva imposto la prima
graduatoria delle razze, inventando il caucasico. Winckelmann la Grecia delle
statue patinate quale ideale di bellezza. Tra il 1820 e il 1840 Karl Otfried
Müller, il filologo di Gottinga, dà significato culturale e politico alla
storia “antica moderna”, con la scoperta dei dori. Era la filologia dei primati
– di Ariano vero c’è solo il santo a Venezia, all’isola dei Morti.
Complotto - Quando
Kotzebue fu ucciso da Carl Sand i governi della Sant’Alleanza ne approfittarono
per liberarsi degli ultimi liberali, anche se ne erano stati aiutati nelle
guerre contro Napoleone e la Francia. Lo scrittore Kotzebue, benché antiromantico,
antinapoleonico e antirivoluzionario, non era una spia. Lo studente Sand
invece, benché liberale, era un fanatico. Non bisogna esagerare coi progetti
della storia.
Diario - È ordine: disciplina la
memoria, riscontra il modo di essere. Ma in solitudine. Non in dialogo cioè, in
conversazione, poiché prevalentemente e parlare di se a se stessi. Anche nel
mondo iperconnesso, è un piccolo esercizio di esibizionismo, immune alla
critica.
Esilio – Quello “autentico”, o
radicale, è da se stessi. Anche se non si è emigrati, cioè, non fisicamente.
Non da un paese all’altro, e quindi da una lingua a un’altra. E nemmeno come
emigrati dell’interno, quindi fruitori della stessa lingua, tra Nord e Sud, tra
campagna e città.
La nozione di
esilio implica un punto di origine, un radicamento - la patria, la regione, la
città, una natura, un clima, un linguaggio. E la mentalità, il portamento, gli
usi alimentari, la festa, il riposo, il ritmo di lavoro. .
È in subordine, in
potenza, un ritorno: una possibilità di ritorno, sia pure in forma di esorcismo,
per diminuire la violenza del distacco quando si è deciso comunque di recidere
il cordone ombelicale.
Si può rifiutare
il legame, o trascurarlo, o dimenticarlo, ma allora si è esiliati dall’esilio:
si interrompe il legame pur tenue che l’esilio comporta. Inclusa l’esperienza
di emigrato interno – dove anzi più facile è il distacco e il rifiuto, per esempio
dei meridionali che sono leghisti antimeridionali.
Lingua – È il cordone ombelicale dell’esistenza.
Si vede nell’esistenza travagliata dell’emigrazione, interna ed esterna. Il dialetto
in chi emigra da capo a capo dello stesso paese, e la diversità di toni,
cadenze, pronuncia – chiusa o aperta, sonora o afona, etc. – e le parole stese,
a volte intraducibili, nell’uso della lingua nazionale. La lingua d’origine per i transfrontalieri,
anche nelle forme private e privatissime dell’uso familiare. La telefonia
cellulare ha irrobustito il legame, gli ha dato sfogo: si vede nelle peggiori
condizioni, anche nell’indigenza, la
possibilità di usare la parola di origine viene prima di ogni altra esigenza, di
un rifugio, di un pasto. “La parole riportano tutto” dell’origine: il luogo, la
gente, la vita, le strade, la luce, il cielo, i fiori, i rumori”, nota la
scrittrice Jhumpa Lahiri (“In altre parole”, p. 97), avendo deciso di lasciare
la sua lingua, l’inglese, per l’italiano, e le innumerevoli pieghe del
significato. È un fatto d’identità, naturalmente, e anche di ossigenazione: “Quando si vive senza la propria lingua ci si
sente senza peso e, allo stesso tempo, sovraccarichi. Si respira un diverso tipo
di aria, a una diversa altitudine”.
È la lingua che fa
la differenza, più che la fisionomia, il normotipo. La mentalità vi si esprime,
la memoria, e la propria ragione di vita, anche se con un movimento riflesso,
retrogrado, invece che proiettato su un programma e un futuro.
Gli studiosi dell’emigrazione
ci arrivano per esempio Andreina De Clementi, che si rifanno alla
corrispondenza, allora non esistevano i telefonini, per quanto sintetica,
lenta, spaziatissima, e sgrammaticata, ripetitiva, rituale per lo più, più
spesso per interposto scrivano, di grafia e formule fatte,di giovani e non giovani
figli e coniugi del secondo Ottocento e primo Novecento.
I sogni non hanno
voce. La lingua non si dice ma è nota, tutto scorre significativamente. La lingua
è un patrimonio acquisito e condiviso, di significati, la certificazione vocale non è necessaria.
zeulgi@antiit.eu
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