13 punti e mezzo di pil nel 2013 in meno al Sud
rispetto al 2007 – la contrazione è stata del 7,1 per cento al Centro-Nord. Lo ha
calcolato la Banca d’Italia nella “L’economia delle regioni italiane”.
Galileo snobbò Campanella, che pure gli era devoto
e si espose per lui. Il sospetto ha radici lunghe.
L’ellissi
Al
salutare “Come state?” rispondiamo: “Insomma!,
“Non c’è male”, “Non mi posso lamentare”. Meglio ancora il neutro: “Non ci
possiamo lamentare” – il neutro non è l’impersonale “si”, siamo tutti noi. Del
resto, anche la domanda non è diretta, lo scrupolo è pure di chi chiede. Che
più spesso prudente si limita a un “Che si dice?”, “Come andiamo?”
Oppure parliamo indiretto per naturale ritegno. Una
madre non dice al figlio: “Ti voglio bene”, ma gli fa un complimento: “Come
siamo eleganti”, “Come siamo belli”. Né l’amata dice all’amato: “Ti amo”, ma lo
ammira, e se ne fa ammirare. “Non lo vedo bene” diciamo invece di qualcuno che
si suppone malato grave. C’è rispetto per chi soffre, più che l’aggressivo
impossessarsi delle sofferenze altrui che viene fuori ora nell’Italia
televisiva, da prefiche sul podio.
Si parla al Sud (a Napoli, in Sicilia, in
Calabria) indiretto,
per
ellissi. Con frequenti anacoluti, e metatassi (enumerazioni, ripetizioni, in senso
accrescitivo ma anche dubitativo). Nella lingua colloquiale (dialettale) sempre,
nell’espressione diretta. Ma anche nei linguaggi specifici: settoriali, tecnici,
scientifici. Si parla cioè impreciso. Si tende a scrivere anche così.
La comunicazione-conversazione non è mai definitiva,
“geometrica”. Ma al Sud è quasi di programma imprecisa. Con una molteplicità di
significati Ma anche con approssimazione, fonte di incertezza nella
comunicazione e nei rapporti. Di confusione: lo stesso soggetto è irretito nell’anacoluto.
Ciò fa parte della molteplicità, ma in senso limitativo.
La conversazione – lo “scambio umano” – è al
Sud non la guardia della scherma ma un coinvolgimento, dello stesso parlante
incluso. Anche quando racconta fatti di altri, per quanto remoti. E
appartenenza: avvicinamento invece di distanziamento. Il significato specifico
non si spiega (definisce, chiarisce) ma si vive. L’io è sempre noi. Non per familismo
o omertà, è esistenziale, il modo di
essere.
Ma l’appartenenza è pure separatezza. All’esterno
del nucleo, come è evidente. Ma anche all’interno: rimanendo nell’indefinito
non ci si impegna.
A questo
punto, in quest’epoca, è un gioco in difesa. Come all’origine, la tradizione apotropaica – o dello scongiuro. Per non sfidare
il destino – non scuoterlo dal torpore. C’è un ritorno del dialetto, un ritorno generale
e nelle forme più strette, dopo decenni di italianismo, e non può avere che
questa funzione. Parlare ma non esporsi.
L’Antistato
“La famosa questione meridionale è oggi, in
gran parte, una questione dei meridionali”, lamentava indignato (la “famosa
questione”) sulla “Stampa” Norberto Bobbio: “Non venitemi a dire che in
Calabria o in Sicilia non c’è lo Stato “. Ci fu una trentina d’anni fa
un’ondata di indignazione per i delitti efferati di mafia a Palermo, e i
rapimenti di persona in Calabria. “La gente del Sud non si accorge neppure di
essere corrotta”, notava Gianni Amelio tornando al suo paese di nascita in
Calabria. Bobbio si spinse a chiedere cavalli di frisia e filo spinato per
isolare il Sud. E Galli della Loggia ipotizzava un nuovo decalogo, sempre sulla
“Stampa”, “contro la mafia”, attorno al principio che “lo Stato deve rendere la
vita impossibile come e più della mafia”. Tagliando l’acqua, la luce e il
telefono, e togliendo la patente.
Resta però difficile concepire l’Antistato in
Greco, il capomafia di allora, Riina, Messina Denaro.
L’India
C’è una tendenza ad apparentare l’Italia
all’India. Vi accenna pure E.M.Forster,
che si trovò bene in entrambi
i paesi. Più di tutti erano per l’’apparentamento Marx e Carlo Cattaneo, che dell’India sapevano
poco o nulla:
Ma c’è anche un apparentamento
della Calabria all’India, niente di meno. Lo operarono i gesuiti. Arrivati in
Calabria nel 1564 subito la paragonarono l’India, “per la spaventosa ignoranza
tanto nello spirito quanto nel
morale”. E in un rapporto del 1575 citato da Tacchi Venturi, “Storia della Compagnia di Gesù in Italia”,
spiegavano: “Le montagne della
Sicilia e della Calabria
sarebbero indicate
come luogo di
noviziato per i missionari
delle Indie. Chiunque sarà riuscito nelle Indie di casa nostra sarà
eccellente per le Indie lontane”.
Le
“Indias de por acà” sono del gesuita spagnolo Michele Navarro,. 1575 - ne parla anche Ernesto
De Martino nell’introduzione alla “La terra del rimorso”. Michele Navarro è
nelle cronache “Ministro della Provincia del Santo Vangelo”.
La mafia
della Cassazione
Dichiarando che Roma Capitale è una mafia, la
Corte di Cassazione ha posto infine la parola fine alla questione mafia, che
cos’è mafia. Una definizione della mafia
sempre abbondante e sempre sfuggente. Per cui i mafiosi usavano dire: “Non sono
mafioso, non so cosa sia mafia, mai sentito”, e avevano in qualche modo
ragione. Non si andava oltre il “quadro mafioso”, la “matrice mafiosa”, “lo
stampo mafioso”. La stessa corte Europea,
che oggi condanna l’Italia per ingiusto processo a carico di Contrada, dice il
reato di associazione mafiosa “non sufficientemente chiaro” – in un processo
invece mafiosissimo per tutti e con ogni evidenza, e non per colpa di Contrada.
La Cassazione ora promette di più, con le motivazioni della sentenza a carico
di Buzzi & Co.. .
La mafia tutti sanno cos’è, ma il diritto
annaspa. Alla “matrice mafiosa” si rifà anche il dispositivo della sentenza della
sesta sezione penale della Cassazione. Che peraltro può non dare le motivazioni
della sentenza stessa, non è tenuta. Se lo farà, sarà una pietra solida.
La mafia per i definitori (sociologi, giuristi)
è inafferrabile: molti tratti se ne danno, ognuno prevalente, che alla fine si
elidono. Organizzazione economica – si diceva quando il capitalismo era mafia. Organizzazione politica? È la ricetta del’Antistato,
anch’essa politica. Familismo? Raramente. È violenza organizzata? Più spesso è
flessibile. È ribellismo, anarchia? È la forza “pura”, la forza che, dice
Simone Weil, “esclude ogni considerazione di fine”? Ma a volte se lo dà. È violenza
totale? Ma fa compromessi. La definizione più esatta è quella che Sciascia ha
premesso a Henner Hess, “Mafia”, 1970: “Un’associazione per delinquere, con
fini d’illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come
intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà
e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”. Ma l’“associazione”
è equivoca: quanto larga, quanto stretta? È il reato preferito e coltivato dall’apparato
repressivo, carabinieri e giudici, ma è anche la rete che tiene nell’angoscia le
aree a presenza mafiosa. Tenere le reti a mollo per anni e decenni, di pescicani
che intanto gozzovigliano, e sarebbe meglio uncinare subito.
leuzzi@antiit.eu
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