Gli appassionati di Augusto, anche solo
della storia romana, faranno bene a rileggersi l’“Augustus” di John Williams, tanto più veritiero –
filologicamente attendibile – benché romanzato, narrato. Gli appassionati di
Canfora invece si divertiranno. Il filologo gioca sempre al relitto comunista,
non essendolo mai stato (Stalin l’avrebbe liquidato come trockista – anche
Togliatti, il suo mito, anche lui postumo). Rivoluzionario e organico. Che
sembra in contraddizione, ma lui sa come. Qui, ancora una volta, per tramite di
Appiano.
Appiano è lo storico alessandrino delle guerre
civili, di Mario e Sila, Cesare e Pompeo, estimatore di Spartaco e dei Gracchi,
poco imperiale e molto repubblicano. Ma è anche uno di Alessandria, un
levantino, avvocato di suo, nonché procuratore, una specie di
governatore-esattore, dei tempi gai che le guerre di Traiano hanno assicurato, un
personaggio che indurrebbe a prudenza. Canfora è invece tutto per lui, contro
Plutarco oltre che contro Augusto. Appiano, forse perché la sua “Storia romana”
è monca, e quindi aperta alle congetture, è da tempo riferimento costante dello
studioso. Insieme con la corrispondenza, questa effettivamente sapida benché in
tedesco (ma con ampio mistilinguismo) di Marx e Engels.
L’esordio è esilarante con Garibaldi
“pezzo d’asino”, donkeyshaft, parola mezzo
inglese e mezzo tedesca, nelle lettere di Marx al socio. Marx aveva confidato
al generalissimo i destini della futura Internazionale, salvo poi ritrovarselo
a Londra al braccio di Palmerston. Insomma, aveva qualche ragione. Ma Canfora,
che condivide il disprezzo di Marx per Garibaldi, sbaglia: Garibaldi tra
l’Internazionale e Palmerston, in una storia seria, sarebbe stato una forte
traccia. Nella seconda parte della raccolta di saggi c’è anche Augusto, ma un
po’ come Garibaldi, visto attraverso lenti deformanti.
C’è un vezzo degli studiosi, forse per
la lusinga della pratica giornalistica, che si vuole “dissacrante”, di
attaccarsi ai santi. Un decostruzionismo dei poveri: il santo è un criminale,
il criminale è un santo, la vergine è puttana, e viceversa, e magari anche il
ricco è povero - ma per ora, se Dio vuole, no. Canfora naturalmente è di più, e
le sue scorribande, seppure a nessun fine, né storico né filologico, sono
prodigiosamente cattivanti. Cioè al contrario: sono facete ma non ne resta
nulla. Un pezzo di conversazione.
Luciano Canfora, Augusto, figlio di Dio, Laterza, pp. VI-563, ril. € 24
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