sabato 11 aprile 2015

Garibaldi pezzo d’asino e altre facezie

Gli appassionati di Augusto, anche solo della storia romana, faranno bene a rileggersi l’“Augustus” di John  Williams, tanto più veritiero – filologicamente attendibile – benché romanzato, narrato. Gli appassionati di Canfora invece si divertiranno. Il filologo gioca sempre al relitto comunista, non essendolo mai stato (Stalin l’avrebbe liquidato come trockista – anche Togliatti, il suo mito, anche lui postumo). Rivoluzionario e organico. Che sembra in contraddizione, ma lui sa come. Qui, ancora una volta, per tramite di Appiano.
Appiano è lo storico alessandrino delle guerre civili, di Mario e Sila, Cesare e Pompeo, estimatore di Spartaco e dei Gracchi, poco imperiale e molto repubblicano. Ma è anche uno di Alessandria, un levantino, avvocato di suo, nonché procuratore, una specie di governatore-esattore, dei tempi gai che le guerre di Traiano hanno assicurato, un personaggio che indurrebbe a prudenza. Canfora è invece tutto per lui, contro Plutarco oltre che contro Augusto. Appiano, forse perché la sua “Storia romana” è monca, e quindi aperta alle congetture, è da tempo riferimento costante dello studioso. Insieme con la corrispondenza, questa effettivamente sapida benché in tedesco (ma con ampio mistilinguismo) di Marx e Engels.
L’esordio è esilarante con Garibaldi “pezzo d’asino”, donkeyshaft, parola mezzo inglese e mezzo tedesca, nelle lettere di Marx al socio. Marx aveva confidato al generalissimo i destini della futura Internazionale, salvo poi ritrovarselo a Londra al braccio di Palmerston. Insomma, aveva qualche ragione. Ma Canfora, che condivide il disprezzo di Marx per Garibaldi, sbaglia: Garibaldi tra l’Internazionale e Palmerston, in una storia seria, sarebbe stato una forte traccia. Nella seconda parte della raccolta di saggi c’è anche Augusto, ma un po’ come Garibaldi, visto attraverso lenti deformanti.
C’è un vezzo degli studiosi, forse per la lusinga della pratica giornalistica, che si vuole “dissacrante”, di attaccarsi ai santi. Un decostruzionismo dei poveri: il santo è un criminale, il criminale è un santo, la vergine è puttana, e viceversa, e magari anche il ricco è povero - ma per ora, se Dio vuole, no. Canfora naturalmente è di più, e le sue scorribande, seppure a nessun fine, né storico né filologico, sono prodigiosamente cattivanti. Cioè al contrario: sono facete ma non ne resta nulla. Un pezzo di conversazione.
Luciano Canfora, Augusto, figlio di Dio, Laterza, pp. VI-563, ril. € 24

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