“I
giardini non hanno niente a che fare con la natura, o non molto”. Vivono di terra,
erbe, fiori, piante, ma più di sensazioni, ricordi, fanatsiei – l’odierno “vissuto”.
La vena affabulatrice della scrittrice anglo-fiorentina dà corpo anche la
giardino, che fu la sua ragione di vita solitaria, in Italia, al “Palmerino”
sopra Firenze. Non sistematicamente, come in un diario, impressioni qua e là –
raccolte con altre prose in “Limbo”, e qui enucleate da Elena Macellari, con
una presentazione simpatetica: il giardino come l’Italia, il carattere della
gente, “la magnifica armonia di natura e arte”. Con la solida cultura delle
cose italiane che la contraddistingue.
Il
giardino all’italiana è archeologia, di quando venne alla moda “ricostruire” l’antichità
di pietra, sul dettato della “Hypnerotomachia Poliphili”. Fino alla magnificenza
delle fontane di Bernini, che l’acqua fanno scultorea. L’amore la poesia cortese
celebrava nei frutteti. I giardini di Boccaccio erano “orti”. Poi sono venuti i
fiori: “È piacevole avere fiori in giardino, ma non è necessario”. In Italia è
anche impossibile, in estate, se non in vaso. “Noi moderni abbiamo fiori, e non
giardini”, e la scrittrice protesta. “Ancora peggio è supporre che puoi fare un
giardino con l’innalzare un muro o piantare un recinto”. Ma si consola: “Il
giardino che ha cessato di esistere… lo incontri in ogni strada principale o
sentiero di campagna italiani”.
Vernon
Lee, Antichi giardini italiani,
Tabula Fati, pp.63, ill. € 7
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