Nell’adolescenza che si è ricostruita ne
“Il desiderio di essere come tutti”, Francesco Piccolo ricorda di essere
rimasto infastidito nel 1978 da questa Cederna, dall’accanimento, dall’affastellamento
senza respiro di malevolenze. È improbabile, aveva quattordici anni - piace pensarlo un ragazzo come gli altri. Ma anche se
retroattiva, la sensazione è quella: a una rilettura sembra tutto sguaiato e
falso. Un classico della denigrazione. Condito dal disprezzo. Che è in realtà
razzismo. Al modo sottile, inavverito forse tanto è connaturato, della Cederna (come di Bocca),
dell’ironia che a stento copre – vuol far scoprire – la repellenza a
pelle. “La” Cederna è una che, come tutti i lombardi,
sta bene a Capri e a Panarea, anche a Pantelleria, ma i meridionali non li sopporta, se non per
obbligo civico. Da qui il sarcasmo fuori misura, per ben 250 pagine fitte.
La stessa presentazione dell’editore suona
imbarazzata alla rilettura. “Questo libro è nato da un amore profondo per la
democrazia, i suoi organi, i suoi istituti, i suoi valori e persino i suoi simboli”,
la scheda esordisce con le scuse. Dopo una copertina rispettosa, e anzi
lusinghiera. La Cederna infastidiva tutti quanti – il ricordo è vivo di quando
all’assemblea di redazione di “Repubblica” una mattina preannunciò l’uscita del
libro, nel silenzio di Scalfari, lo sguardo ostinatamente fisso nel vuoto. Aveva
i suoi lati deboli. E quando usciva dal pettegolezzo era spietata, senza freni.
Camilla
Cederna, Giovanni Leone, la carriera di
un presidente
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