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giovedì 2 aprile 2015

Il mondo com'è (211)

astolfo

Arabia Saudita – La proiezione militare diretta all’esterno è una novità totale – ora nello Yemen, a capo di una coalizione araba. Finora il governo saudita, pur essendo protagonista assoluto sulla scena araba e islamica sommate assieme, ha evitato per programma di esporsi.  “La politica estera saudita ha elevato l’azione indiretta a specifica forma d’arte”, scriveva Kissinger nel 1982, “Years of upheaval”, e il metodo è rimasto valido fino all’intervento nello Yemen.
L’intervento si è reso necessario perché l’Arabia Saudita si confronta da un cinquantennio con l’Iran, l’altra potenza del Golfo, e non può tollerare un governo filo iraniano al suo confine meridionale. Secondo Kissinger,  una proiezione diretta all’esterno non è nell’interesse della monarchia saudita: “Una politica di forte proiezione esterna la renderebbe il punto focale di tutte le dispute”. Aprendola agli urti con l’instabilità circostante: “Richieste, minacce e blandizie il cui impatto cumulativo potrebbe minarne sia l’indipendenza che la coesione”. Il nuove re Salman ha deciso altrimenti.
La casa regnante saudita si è costituita attraverso un lento processo di unificazione della penisola, durato due secoli e mezzo, fino al 1932, data della fondazione dello Stato odierno. Si è costituita attorno alla tribù del Negged, la regione desertica centrale. A partire dall’alleanza, nel 1744, col movimento fondamentalista wahabita, il clan degli ash-Sheikh, discendenti di Muhammad al-Wahab (1703-1792). Le stime saudite valutano in 75 miliardi di dollari negli ultimi quarant’anni, dal boom del petrolio, il flusso di finanziamenti al proselitismo wahabita, in Medio Oriente, Nord Africa e Africa sub sahariana – in Mali, Nigeria, Senegal, Suda, Somalia, Kenya, e altrove.
L’intervento diretto coincide con la successione reale. Col nuovo sovrano, Salman, il potere torna per intero nella mani dei principi del clan Sudeiri, i figli dell’ottava moglie, la più prolifica, del fondatore della dinastia Ibn Saud. Con un principe ereditario nel fratellastro Muqrin, uno degli ultimi ancora in vita, dei Yamaniyya. E il suo proprio figlio trentaquattrenne Mohammed elevato a ministro della Difesa, il maggior capitolo di spesa del reame. Attorno a Mohammed e alla difesa ha anche costituito un superconsiglio ristretto della Corona. Ma uomo forte si ritiene essere il nipote Nayef, 55 anni, quindi terza generazione. Terzo nella linea di successione, e al centro di un altro superconsiglio ristretto della Corona, per l’economia.

Mediterraneo – È da un ventennio la “zona della tempeste” mondiale. Per i conflitti noti: tra modernizzazione e islamismo, tra regimi bonapartisti e domanda di democrazia, e per l’insorgere di Al  Qaeda e il califfato,  e l’immigrazione disordinata dall’Africa e dall’Asia. Oltre al conflitto attorno a Israele, ormai vecchio di settant’anni. Mentre cova la possibile implosione della penisola arabica, da cui l’Europa e mezzo mondo dipendono per l’approvvigionamento energetico. Sotto regimi ancora tribali, pur tra grattacieli e fondi sovrani: arcaici sui diritti civili e del tutto carenti per quelli politici.
L’Europa non vi ha alcuna voce. Su nessuno dei fronti aperti. Né come Europa né singolarmente, con qualcuna della sue medie potenze, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania. Neppure con Israele, che pure è espressione europea, e per molti aspetti un’estensione. Molti di questi conflitti sono peraltro esterni all’area, per origine e finalità.
Non è sempre stato così, le turbolenze che vi si presentavano erano circoscritte. E poco rilevanti nel quadro della guerra fredda. Che vedeva invece esposto il Centro e Nord Europa. Mentre la politica mediterranea spariva dall’agenda europea. E in Algeria si apriva la guerra civile, la prima guerra araba attorno al fondamentalismo islamico. Prima tutto era pronto per una sorta di adesione del Maghreb – il Nord Africa occidentale - alla Ue. Ma come una coda della politica europea di apertura degli anni 1970. Ora con la sola Italia, e occasionalmente la Spagna, parti attive, ma divise, isolate e irresolute, mentre a Francia si disinteressa – è come se avesse abolito il Mediterraneo.
La caduta del Muro ha consolidato – con la parentesi jugloslava – un assetto stabile di tutta l’Europa, con l’esclusione della Russia. Mentre nel Mediterraneo, che pure è Sud Europa, si aprivano le tempeste.

Germania – Angela Merkel, la tricancelliera di destra e di sinistra, è in Germania anche criticata e avversata. È in Italia che è universalmente celebrata. Forse perché donna, anche se non mamma. O è “mamma” perché incarna il Centro indistruttibile. Forse perché all’Italia l’ha fatta pagare caro, e l’Italia ala fine è pur sempre narcisista masochista, si compiace delle ferite. Della Germania Machiavelli, che c’era stato, già dubitava che non ambisse altro che servi volenterosi. All’amico Vettori scrisse così: “Compar mio, questo fiume tedescho è sì grosso che gl’ha bisogno d’un argine grosso a tenerlo… Et remedii a questa piena bisogna farli hora, avanti che si abbarbino in questo stato, , et che comincino a gustare la dolcezza del dominare. Et se vi si appiccano,
tutta Italia è spazzata, perché tutti e malcontenti li favoriranno et faranno scala alla loro grandezza, et alla ruina d’altri” – Machiavelli aveva paura “di loro soli”.

Papato – La dottrina tradizionale è che abbia impedito la modernizzazione dell’Italia: l’unità, l’aggiornamento, la competitività o mercato. La società, l’urbanistica, l’iniziativa, il fine tuning della produzione - di nuovo: il mercato. È un fatto. Galli della Loggia è praticamente il solo che ne riconosca un ruolo nella proiezione internazionale e l’immagine dell’Italia - e nella consistenza attuale del paese, dell’Italia della Repubblica, per il resto disancorata e disarmata. Ma in un’ideologia, che lo sviluppo mette in capo al protestantesimo, la moltiplicazione della ricchezza. Senza specificare quale protestantesimo – Max Weber, cui si fa ascendere questo legame, si limitata a argomentare del pietismo, il luteranesimo più vicino alla cattolicità. E trascurando la primissima ricchezza capitalistica, quella dei toscani, in tutto papalini, e poi, nella Controriforma, dei lombardi, e in questo dopoguerra del cattolicissimo, democristianissimo, Triveneto.
L’opinione antipapalina era condivisa ma anche criticata da nostri maggiori pensatori nazionali. Per Machiavelli non c’era rimedio: il papa era impotente a unire l’Italia, come tentava da secoli, ed era abbastanza potente da impedire che altri lo facesse. Guicciardini, che ne discusse con Machiavelli, invece non faceva un gran danno della mancata unità: il papa, che la impediva, preservava la fioritura delle cento città.

Regine – Contraddicono molto femminismo, quello vittimista. Ce ne sono sempre state molte, anche nell’antichità, e in ogni luogo. In titolo e – a Roma, per esempio – di fatto. In Europa anche in titolo, anche nei secoli, fra il Trecento e l’Ottocento, quando la “condizione femminile” si è deteriorata in diritto, Elisabetta d’Inghilterra, Caterina dei Medici, Maria Teresa – e poi la regina Vittoria – furono sovrane autorevoli e indiscusse. E pure in Russia, così per altro verso retrograda, che nel Settecento fu modellata da tre zarine, Anna I, Elisabetta I, e Caterina la Grande.
Elisabetta fu la regina che fece grande l’Inghilterra. Caterina dei Medici fu la sovrana che, per il bene e per il male, modellò la Francia e in larga misura la salvò per la futura grandezza. Maria Teresa fece grande la casata degli Asburgo e l’Austria-Ungheria. Cecilia Bartoli fa scoprire, cantando i reperti italiani degli archivi del Marinskij, tre zarine che “fecero” la Russia moderna nel Settecento come e forse più di Pietro il Grande.

Machiavelli celebra Caterina Sforza, una che si fece tre mariti in pochi anni, dopo essere stata sposata a 14 anni a Girolamo Riario, di 34, figlio del papa. Morto Girolamo assassinato quando ne aveva 25, si sposò un giovanotto senza nome. Che presto scomparve, per un terzo marito, Giovanni lontano parente dei Medici, col quale concepì Giovanni delle Bande Nere. La cui virtù è poca cosa rispetto a quella della madre.

Russia – Il “paese del sole assente” la disse Alexander Sumarokov, il direttore del primo teatro di San Pietroburgo, lui stesso drammaturgo, “il Racine del Nord”, nonché “fondatore della moderna letteratura russa”, nell’“Alcesti” – che il compositore Raupach, arpista immigrato da Stralsund, musicò, la prima opera in qualche modo russa.

astolfo@antiit.eu

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