Arabia
Saudita –
La proiezione militare diretta all’esterno è una novità totale – ora nello
Yemen, a capo di una coalizione araba. Finora il governo saudita, pur essendo protagonista
assoluto sulla scena araba e islamica sommate assieme, ha evitato per programma
di esporsi. “La politica estera saudita
ha elevato l’azione indiretta a specifica forma d’arte”, scriveva Kissinger nel
1982, “Years of upheaval”, e il metodo è rimasto valido fino all’intervento
nello Yemen.
L’intervento si è reso necessario perché
l’Arabia Saudita si confronta da un cinquantennio con l’Iran, l’altra potenza
del Golfo, e non può tollerare un governo filo iraniano al suo confine
meridionale. Secondo Kissinger, una
proiezione diretta all’esterno non è nell’interesse della monarchia saudita:
“Una politica di forte proiezione esterna la renderebbe il punto focale di tutte
le dispute”. Aprendola agli urti con l’instabilità circostante: “Richieste,
minacce e blandizie il cui impatto cumulativo potrebbe minarne sia
l’indipendenza che la coesione”. Il nuove re Salman ha deciso altrimenti.
La casa regnante saudita si è
costituita attraverso un lento processo di unificazione della penisola, durato
due secoli e mezzo, fino al 1932, data della fondazione dello Stato odierno. Si
è costituita attorno alla tribù del Negged, la regione desertica centrale. A
partire dall’alleanza, nel 1744, col movimento fondamentalista wahabita, il
clan degli ash-Sheikh, discendenti di Muhammad al-Wahab (1703-1792). Le stime
saudite valutano in 75 miliardi di dollari negli ultimi quarant’anni, dal boom
del petrolio, il flusso di finanziamenti al proselitismo wahabita, in Medio
Oriente, Nord Africa e Africa sub sahariana – in Mali, Nigeria, Senegal, Suda, Somalia, Kenya, e
altrove.
L’intervento diretto coincide con
la successione reale. Col nuovo sovrano, Salman, il potere torna per intero nella
mani dei principi del clan Sudeiri, i figli dell’ottava moglie, la più
prolifica, del fondatore della dinastia Ibn Saud. Con un principe ereditario
nel fratellastro Muqrin, uno degli ultimi ancora in vita, dei Yamaniyya. E il suo
proprio figlio trentaquattrenne Mohammed elevato a ministro della Difesa, il
maggior capitolo di spesa del reame. Attorno a Mohammed e alla difesa ha anche
costituito un superconsiglio ristretto della Corona. Ma uomo forte si ritiene
essere il nipote Nayef, 55 anni, quindi terza generazione. Terzo nella linea di
successione, e al centro di un altro superconsiglio ristretto della Corona, per
l’economia.
Mediterraneo
– È
da un ventennio la “zona della tempeste” mondiale. Per i conflitti noti: tra
modernizzazione e islamismo, tra regimi bonapartisti e domanda di democrazia, e
per l’insorgere di Al Qaeda e il
califfato, e l’immigrazione disordinata dall’Africa
e dall’Asia. Oltre al conflitto attorno a Israele, ormai vecchio di settant’anni.
Mentre cova la possibile implosione della penisola arabica, da cui l’Europa e
mezzo mondo dipendono per l’approvvigionamento energetico. Sotto regimi ancora tribali,
pur tra grattacieli e fondi sovrani: arcaici sui diritti civili e del tutto
carenti per quelli politici.
L’Europa non vi ha alcuna voce.
Su nessuno dei fronti aperti. Né come Europa né singolarmente, con qualcuna
della sue medie potenze, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania. Neppure con
Israele, che pure è espressione europea, e per molti aspetti un’estensione.
Molti di questi conflitti sono peraltro esterni all’area, per origine e
finalità.
Non è sempre stato così, le
turbolenze che vi si presentavano erano circoscritte. E poco rilevanti nel
quadro della guerra fredda. Che vedeva invece esposto il Centro e Nord Europa. Mentre
la politica mediterranea spariva dall’agenda europea. E in Algeria si apriva la
guerra civile, la prima guerra araba attorno al fondamentalismo islamico. Prima
tutto era pronto per una sorta di adesione del Maghreb – il Nord Africa
occidentale - alla Ue. Ma come una coda della politica europea di apertura degli
anni 1970. Ora con la sola Italia, e occasionalmente la Spagna, parti attive,
ma divise, isolate e irresolute, mentre a Francia si disinteressa – è come se
avesse abolito il Mediterraneo.
La caduta del Muro ha consolidato
– con la parentesi jugloslava – un assetto stabile di tutta l’Europa, con l’esclusione
della Russia. Mentre nel Mediterraneo, che pure è Sud Europa, si aprivano le
tempeste.
Germania
–
Angela Merkel, la tricancelliera di destra e di sinistra, è in Germania anche
criticata e avversata. È in Italia che è universalmente celebrata. Forse perché
donna, anche se non mamma. O è “mamma” perché incarna il Centro
indistruttibile. Forse perché all’Italia l’ha fatta pagare caro, e l’Italia ala
fine è pur sempre narcisista masochista, si compiace delle ferite. Della Germania
Machiavelli, che c’era stato, già dubitava che non ambisse altro che servi
volenterosi. All’amico Vettori scrisse così: “Compar mio, questo fiume tedescho
è sì grosso che gl’ha bisogno d’un argine grosso a tenerlo… Et remedii a questa
piena bisogna farli hora, avanti che si abbarbino in questo stato, , et che
comincino a gustare la dolcezza del dominare. Et se vi si appiccano,
tutta Italia è spazzata, perché
tutti e malcontenti li favoriranno et faranno scala alla loro grandezza, et alla
ruina d’altri” – Machiavelli aveva paura “di loro soli”.
Papato
–
La dottrina tradizionale è che abbia impedito la modernizzazione dell’Italia: l’unità,
l’aggiornamento, la competitività o mercato. La società, l’urbanistica,
l’iniziativa, il fine tuning della
produzione - di nuovo: il mercato. È un fatto. Galli della Loggia è praticamente
il solo che ne riconosca un ruolo nella proiezione internazionale e l’immagine
dell’Italia - e nella consistenza attuale del paese, dell’Italia della
Repubblica, per il resto disancorata e disarmata. Ma in un’ideologia, che lo
sviluppo mette in capo al protestantesimo, la moltiplicazione della ricchezza.
Senza specificare quale protestantesimo – Max Weber, cui si fa ascendere questo
legame, si limitata a argomentare del pietismo, il luteranesimo più vicino alla
cattolicità. E trascurando la primissima ricchezza capitalistica, quella dei
toscani, in tutto papalini, e poi, nella Controriforma, dei lombardi, e in
questo dopoguerra del cattolicissimo, democristianissimo, Triveneto.
L’opinione antipapalina era
condivisa ma anche criticata da nostri maggiori pensatori nazionali. Per
Machiavelli non c’era rimedio: il papa era impotente a unire l’Italia, come
tentava da secoli, ed era abbastanza potente da impedire che altri lo facesse.
Guicciardini, che ne discusse con Machiavelli, invece non faceva un gran danno
della mancata unità: il papa, che la impediva, preservava la fioritura delle
cento città.
Regine – Contraddicono
molto femminismo, quello vittimista. Ce ne sono sempre state molte, anche nell’antichità,
e in ogni luogo. In titolo e – a Roma, per esempio – di fatto. In Europa anche
in titolo, anche nei secoli, fra il Trecento e l’Ottocento, quando la
“condizione femminile” si è deteriorata in diritto, Elisabetta d’Inghilterra,
Caterina dei Medici, Maria Teresa – e poi la regina Vittoria – furono sovrane
autorevoli e indiscusse. E pure in Russia, così per altro verso retrograda, che
nel Settecento fu modellata da tre zarine, Anna I, Elisabetta I, e Caterina la
Grande.
Elisabetta fu la regina che fece
grande l’Inghilterra. Caterina dei Medici fu la sovrana che, per il bene e per
il male, modellò la Francia e in larga misura la salvò per la futura grandezza.
Maria Teresa fece grande la casata degli Asburgo e l’Austria-Ungheria. Cecilia Bartoli
fa scoprire, cantando i reperti italiani degli archivi del Marinskij, tre zarine
che “fecero” la Russia moderna nel Settecento come e forse più di Pietro il
Grande.
Machiavelli celebra Caterina Sforza,
una che si fece tre mariti in pochi anni, dopo essere stata sposata a 14 anni a
Girolamo Riario, di 34, figlio del papa. Morto Girolamo assassinato quando ne
aveva 25, si sposò un giovanotto senza nome. Che presto scomparve, per un terzo
marito, Giovanni lontano parente dei Medici, col quale concepì Giovanni delle
Bande Nere. La cui virtù è poca cosa
rispetto a quella della madre.
astolfo@antiit.eu
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