martedì 7 aprile 2015

La catena ambrosiana di sant’Antonio

Riemergono nella lenta (cinica) ricostruzione dello sceneggiato Sky le “irritualità” di Mani Pulite. Cioè le vere e proprie illegalità, che il gip Italo Ghitti - “sono un liberale”, ma in altro contesto si direbbe un compagno di merende - avallava una per una senza mai un’eccezione. Due volte il giudice Ghitti non sanzionò il carcere, per Zaffra e Dini, due socialisti lombardi, e ora si scopre che per entrambi la cosa era stata contrattata da Craxi con Di Pietro (Claudio Martelli al “Corriere della sera” sabato 4). L’illegalità principale fu di mettere in carcere un migliaio di personaggi per alimentare lo scandalo: ognuno di essi poteva lasciare il carcere a condizione di fare un nome, cioè di allargare l’inchiesta. Una specie di catena di sant’Antonio dell’infamia. A volersi tenere larghi: il metodo è quello mafioso dell’“avvertimento”.
Una catena molto ambrosiana: la città conta anche, non solo i giudici – che peraltro erano in gran parte napoletani. Rintracciando Stefano Cagliari, l’architetto figlio di Gabriele Cagliari, “Panorama” ha ricostruito una vicenda che assomma all’annientamento, tipico della persecuzione mafiosa, l’invidia sociale sotto forma di sdegno. Il settimanale ricorda che davanti al palazzo Belgioioso, quando si diffuse la notizia che Raul Gardini vi si era sparato, una folla si era assemblata, malgrado l’afa di fine luglio, per ghignare contro il morto e plaudire ai suoi persecutori. E questo è Manzoni, “La colonna infame”. Ma anche in chiesa, ai funerali di Gabriele Cagliari, padre dell’architetto, i milanesi si erano assemblati numerosi, malgrado l’afa asfissiante, per fischiare e rumoreggiare.
Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, si è ucciso in carcere, dove il giudice De Pasquale lo teneva rinchiuso da mesi senza ascoltarlo. Cagliari non aveva imputazioni specifiche, ma era tenuto in carcere perché facesse il nome di Craxi.

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