“Non provo in alcun grado amore per la
Chiesa propriamente detta”. Questa “autobiografia spirituale” confidata al
padre Perrin, suo sostegno negli anni tristi dello sfollamento a Marsiglia,
1940-1942, è una serie di fratture, ma
tutte coerenti: lettere e riflessioni di straordinaria intensità, anche per uno
spirito profano.
Simone Weil ha un senso preciso del religioso
e della religione, e della sua aspirazione a “farsi cattolica”: Dio, Cristo e
la fede sì, li ama “quanto può amarli “un essere così miserevolmente
insufficiente”, i santi pure, “la liturgia, i canti, l’architettura, i riti, le
cerimonie cattoliche”, anche “i sei o sette cattolici di autentica spiritualità
che il caso mi ha fatto incontrare nel corso della vita”, la chiesa no. Della
chiesa ha paura. “Non per la sua colpa”, non tanto, ma perché “essa è un fatto
sociale”. Una comunità, che ingloba. Questo le fa paura. Non tanto per
individualismo, quanto perché si sa “influenzabile”, con “una forte tendenza a
essere gregaria”.
“Il cristianesimo” peraltro “è cattolico
di diritto ma non di fatto. Tante cose ne sono fuori”. Soprattutto per l’uso
del’anatema, della scomunica. Simone Weil lo integra, nel saggio
formidabilmente denso che intitola “Forme dell’amore implicito di Dio”. Che
propone una teologia oggi al centro del papato, di Ratzinger e di Bergoglio –
anche se il credito non viene riconosciuto: “Distaccarsi dalla propria falsa
divinità, negare se stessi, rinunciare ad immaginare di essere il centro del
creato, riconoscere che tutti i punti del mondo sono altrettanti centri allo
stesso titolo e che il vero centro sta fuori dal mondo, significa acconsentire
al fatto che la necessità domina sulla materia e che la libera scelta sta al
centro stesso di ogni anima. Questo consenso è amore. Questo amore, in quanto
si rivolge alle persone pensanti è carità del prossimo, in quanto si rivolge
alla materia è amore per l’ordine del creato, oppure – che è poi lo stesso –
amore per la bellezza del creato”.
Con molti pilastri solidi piantati nell’antropologia
e sociologia del religioso. Per un’etica e una filosofia pratica piene di
verità. Su Amore, Bellezza, Piacere, Matrimonio, Assoluto, Poesia, Provvidenza,
e sugli stessi misteri, Creazione, Incarnazione, Finalità, Necessità. La
natura, la bellezza, la bellezza del creato. Una trattazione diversa “delle
forme del potere”, dall’“Iliade”, il poema della forza, compresa al Cristo.
Sulla misericordia divina. Sulla preghiera anche, dopo un primo rifiuto. Sulla
compassione.
Interessante è il ritratto che della
filosofa traccia il padre Perrin presentando la raccolta nel 1949.. Per l’esito
deprimente dell’esperienza di operaia in fabbrica, che non la lascerà più: “La
prova fu superiore alle sue forze: l’anima fu come schiacciata dalla coscienza
della sventura ed ella ne rimase segnata per tuta a vita”. E per la
poliedricità degli interessi e le enormi energie intellettuali, malgrado la
prostrazione fisica, durante i due anni di sfollamento a Marsiglia. Malgrado lo
sradicamento, elaborò e pubblicò numerosi e importanti saggi: “L’Iliade o il
poema della forza”, “L’agonia di una civiltà”, “L’ispirazione occitanica”, Le
“Intuizioni pre-cristiane”, su Platone e i pitagorici, e quelli confluiti in
questa raccolta, “L’amore di Dio e il male”, e il fertilissimo “Forme dell’amore
implicito di Dio”. Mentre come “letture predilette” aveva le “Memorie” del
cardinale de Retz, e “I tragici” di Agrippa d’Aubigné.
L’”amore implicito di Dio” è la religione
costituita: le chiese, l’intermediazione. La religione è senz’altro parte del
sentimento religioso e va rispettata. Ma non tutte in egual modo: “La religione
di Israele, per esempio, dev’essere stata un’intermediaria molto imperfetta, se
si è potuto crocifiggere Cristo. La religione romana forse non meritava a
nessun titolo il nome di religione”.
Singolare la confidenza di Simone al
padre Perrin della tentazionne del suicidio a quattordici anni “a causa delle
mie mediocri facoltà naturali”. Una delle incertezze dell’adolescenza, ma nel
suo caso singolare, precisa: il confronto con “le doti straordinarie di mio
fratello (il matematico André, n.d.r.), che ha avuto un’infanzia e una giovinezza
paragonabili a quelle di Pascal”. Singolare anche la “conversione”: a Solesmes,
celebre per i riti della Settimana Santa, nella Pasqua del 1938, l’arcangelo la
visita in persona di “un giovane inglese cattolico”, che le fa conoscere i
poeti inglesi detti metafisici e le fa scoprire l’amore, “Love” di George
Hebert (“L’amore mi accolse… L’amore mi prese per mano… «Bisogna che tu sieda»,
disse l’Amore, «che tu gusti il mio cibo». Così mi sedetti e mangiai”).
Simone Weil, Attesa di Dio, Rusconi, remainders, pp. 181 € 6,46
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