L’assassinio di Gentile è un cold case, dice l’editore, che dopo
settant’anni resterebbe da esplorare. E perché? Il Pci lo rivendicò, dopo una
ribadita condanna – Togliatti sull’“Unità”, che allora si pubblicava a Napoli, se ne inorgoglì, riducendo il filosofo a “bandito
politico” e “camorrista, corruttore della vita intellettuale italiana”. I
gappisti fiorentini se sono assunti la paternità.
È un brutto storione, e si presta alle
ricostruzioni, questo sì. Questa è particolarmente insinuante, un labirinto. Di
nomi, riferimenti, retroscena, progetti e complotti politici, aggrovigliati e quindi
confusi. La parte migliore sono i “ritratti” di molti personaggi dell’epoca,
nello specchio dell’evento, dell’assassinio: Berenson, Croce, Markevitch, Gelli,
i gappisti Fanciullacci e Martini, Garin, Guido Calogero, Concetto Marchesi,
Antonio Banfi, Bianchi Bandinelli. Un terzo del testo è di note (con bibliografie),
che però non chiariscono. L’ennesima ri-narrazione, il “caso” resta “freddo”.
Mecacci si basa su una insinuazione di
Cesare Luporini, in un’intervista radiofonica del 1989: ci sono “cose che forse
ancora non si possono dire”. Con l’aggravante che Luporini è – era - “una delle
teste pensanti del Pci”. Dopo essere stato - si può aggiungere ma a nessun
effetto risolutivo, giusto per intorbidare ancora più le acque - a Firenze con
Cantimori, altra testa pensante a guerra perduta del Pci, vicino al nazismo,
antisemitismo compreso: Luporini studiò in Germania con Heidegegr e Hattmann,
il itolare di filosofia a Belino negli ani di Hitler, Cantimori da Firenze si
legò a Moeller van den Bruck (“Il terzo Reich”, 1923) e Carl Schmitt. Ma la
verità non è tutta qui, nelle cose che si sanno?
No, Mecacci ci aggiunge il quadro
internazionale, di spie e affari riservati, inglesi e americani, in Italia. Un
quadro anch’esso risaputo. La “ghirlanda fiorentina” è il titolo di un taccuino
di un italianista scozzese che si vuole agente dei servizi segreti britannici e
in missione a Firenze durante la visita di Hitler nel maggio 1938, John Purves.
Sono molti i britannici uomini di lettere che si vogliono agenti segreti contro
le dittature. Ma pensare che gli americani, o gli inglesi, avessero in mente di
sconfiggere Hitler uccidendo Gentile è un po’ troppo, probabilmente si
occupavano di altro.
I retroscena
sono piuttosto l’evidenza. Un attentato facile – nulla a che vedere con l’agguato
di via Fani, che Mencacci evoca – che bastava solo concepire. Gentile era indifeso, benché fosse personaggio eminente nella
Repubblica di Mussolini. E non era in sintonia col fascismo estremista toscano e fiorentino. Ma anche l’ipotesi di
un regolamento di conti all’interno del fascismo, proseguito con l’eliminazione
del filosofo, non regge. Perché si sa come andò: chi decise l’assassinio e chi
lo realizzò. Il Pci fiorentino avallò l’operazione, il resto del Comitato di
Liberazione Nazionale cittadino lo criticò.
Gentile
era migliore
La narrazione resta tuttavia accattivante.
Per i personaggi – Firenze ieri, e oggi - e qualche retroscena. Fu Bianchi
Bandinelli il mandante? Uno dei mandanti, come disse la Polizia subito dopo
l’assassinio, che lo arrestò? Sì. “Sai bene quello che gli hai fatto”, gli avrebbe
detto Pompeo Biondi, suo padrone di
casa, quando vennero per arrestarlo, annota Mencacci. E uno s’immagina bene
Biondi, gigantesco e sbuffante, sempre un po’ agitato, di fronte all’irruzione.
Ne viene fuori anche un Gentile migliore di molti.
È questo forse l’oggetto vero dalla
lunga rappresentazione dello psicologo Mencacci. Qui c’è il Gentile degli ultimi
scritti, sotto l’occupazione tedesca, ministro di Mussolini ma pensatore in
proprio, per la concordia e la ricostruzione. Per la continuità dell’Italia e
dello Stato italiano. Come disegno politico e non come fatto bellico, di guerra
civile. E non come complotto, o disegno surrettizio. Ma non vale l’ipotesi
della “pacificazione nazionale” che Gentile avrebbe patrocinato e gli inglesi
avversato: Gentile era pur sempre un “irriducibile”. Invocava la “concordia”,
ma sotto la guida di Mussolini, “voce
antica e sempre viva della Patria”, e a fianco del “Condottiero
della grande Germania”. E per i partigiani aveva parole di disprezzo -
“i sobillatori, i traditori, venduti o in buona fede, ma
sadisticamente ebbri di sterminio». Mentre non si fa abbastanza caso del
terrorismo urbano, allora “gappista”, che è pur sempre un dato di fatto.
Specialmente in Toscana, all’epoca, e a Firenze. Più la Liberazione si
allontana più i libri che la celebrano si allontanano dalla storia invece di
chiarirla.
Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, pp. 520 € 25
Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, pp. 520 € 25
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