Henri Thomas, traduttore dal tedesco
(specie di Jünger), e insegnante di francese a Londra e negli Usa, ha elaborato
il romanzo-verità che ora fa la fortuna di Emmanuel Carrère, con “John Perkins”,
premio Médicis 1960, e “Spergiuro” quattro anni dopo. Quest’ultimo romanzo fa –
o è come se – il ritratto di Paul de Man negli Usa, e per questo incuriosisce Derrida,
che dello scrittore belga fu collega nelle università americane e amico. Rintraccia
Thomas, cerca i suoi precedenti scritti, e per la celebrazione di un altro
amico in comune con de Man, il semiologo e critico letterario americano Joseph
Hillis Miller, sceglie di decostruire lo spergiuro. Nel lessico – la stessa parola
è la cosa e il soggetto in francese (come in italiano), ma non in inglese, etc.
E per l’aneddoto su cui il romanzo s’intesse: un europeo emigrato negli Usa che
si risposa giurando di non essere sposato, e quindi viene incolpato di
spergiuro. De Man aveva vissuto questa situazione.
Il doppio matrimonio aveva travolto de
Man, professionalmente e psicologicamente. Lo stesso avviene al protagonista di
Henri Thomas. Sono comuni anche gli eventi collaterali, nel romanzo di Thomas e nella vicenda de Man. Derrida si
diverte a rimetterli in parallelo. Ma non è tanto la somiglianza che lo diverte
– Thomas potrebbe aver saputo di de Man prima dell’incriminazione per
spergiuro. Lo diverte alleggerire la posizione di de Man, che come il
protagonista di Thomas può dire a chi gli obietta lo spergiuro: “Si figuri che
non ci pensavo”. E più per rendere omaggio a Hillis Miller sulle proprietà dell’anacoluto
nel linguaggio. Di cui lo studioso americano fa tesoro nelle sue letture di
Proust – ma già de Man aveva aperto la breccia, su Proust e l’anacoluto.
Derrida non ne viene a capo. L’anacoluto
si ribella alla decostruzione – non c’è un io immutabile. E allora mette sotto
accusa il “noi”. Nella forma del matrimonio – essendo il matrimonio
impossibile, de Man non è colpevole di spergiuro. Per l’autorità di
Kierkegaard, Kafka (“Lettera al padre”) e lo stesso Abramo. Follia del
giuramento, follia del matrimonio. O almeno: “Non ci si dovrebbe sposare più di
una volta” – eh sì, soprattutto per la parte economica.
Derrida dà l’idea di divertirsi. È un’idea,
la filosofia come divertimento. Perché de Man è altro che anacoluto: non solo spergiuro, e padre inaccudente, ma collaborazionista in gioventù con l’occupante tedesco al suo paese, il Belgio, un po’ antisemita, e un po’ troppo spregiudicato, pare, in affari.
Jacques Derrida, Lo spergiuro, Castelvecchi, pp. 95 € 9
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