Quattro articoli sulla “Stampa”, dopo
piazza Fontana, Gelli, Gladio. Bobbio è indignato. Come tutti. Ma lui si lascia
andare, contro la sua stessa proverbiale capacità di analisi e quindi di
giudizio – lo stesso gli succedeva per i fatti di mafia al Sud. Vede così ombre
dove invece ci sono pilastri. Magari fragili o stupidi, ma dichiarati, noti
anche.
Gladio era chiaramente sopravalutata da
Andreotti – con la sua terribile ironia: un’accozzaglia di scemi. Ma era noto
che l’Italia era in libertà vigilata, con la guerra fredda, la cortina di ferro
e il partito sovietico. La loggia di Gelli è poco più di niente a petto delle
banche, d’affari e non, che gestiscono l’opinione e l’economia. Ma anche le
banche: sono poteri segreti?
Marco Revelli, che ha curato le duemila pagine
del “Meridiano” politico di Bobbio, inquadra meglio nell’introduzione a queste breve
antologia il problema del segreto politico e del segreto di Stato. Bobbio è
amareggiato e non va oltre la rabbia – la repressione era visibilissima, altro
che “potere invisibile” e “nella più assoluta oscurità”.
Un altro politologo di fama, seppure non
dello spessore filosofico di Bobbio, Giorgio Galli, passava in quegli anni
all’occulto. A quello proprio, dei maghi, le formule, gli astri. Ma era più
produttivo, nel senso dello svago. La scienza politica del mistero è invece
disorientante – è come essere Cossiga invece che Andreotti.
Norberto Bobbio, Democrazia e segreto, Einaudi, pp. XXIX + 53 € 9
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