mercoledì 8 aprile 2015

Letture - 210

letterautore

Agente letterario – Lunga e documentata celebrazione su “L’Espresso” il 25 marzo di Roselina Salemi dell’agente letterario. Se non che nessuno dei libri acclamati uno ha il desiderio di leggere – forse la Perrella, fra tutti i citati, che lavora con Santachiara. Questi agenti, allora, che cosa fanno “leggere”, e a chi? E quanto vendono esattamente? “Gomorra” si vuole che abbia venduto due milioni e mezzo di copie, ma sicuramente non ha avuto due milioni e mezzo di lettori - ce ne saremmo accorti: un po’ meno mafie, anche editoriali. 

Amore – Non è grande tema romanzesco, contrariamente a quanto si crede. Non nel romanzo europeo e americano dell’Otto-Novecento. In nessun italiano, eccetto che, baluginante, in Pavese.
C’è invece in Céline. Anche in Pound.
L’incapacità d’amare, al contrario, non c’è vizio peggiore e miglior tema di romanzo: Dostevskij, Flaubert, Proust, Joyce ci hanno fatto fortuna, anche Svevo. Anche Tolstòj, in fondo, e naturalmente Zola, D’Annunzio e tutti i non romantici.
C’è molto in letteratura sotto forma di sesso, ma più allora come disamore.

Berlusconi – È il rifugio e la salvezza degli autori italiani. Non solo salva le case editrici, ora anche quelle della Rcs (Adelphi, Bompiani, Rizzoli e altri marchi), ma pubblica, valorizza, impone, si sa che è un abile venditore, anche quelli che più fanno campagna contro di lui, come corruttore, puttaniere e fascista: Scalfari, Camilleri, Ginsborg, l’elenco è lungo. Li innalza perfino a classici, ce li rende lettura obbligata, e quasi religiosa. L’ultimo è Saviano, che dopo un giro di valzer da Feltrinelli, è tornato da Berlusconi, che invece paga. Per ora da “Amici”, non  senza giustificazioni naturalmente (“in queste trasmissioni si incontrano i giovani, che sono il mio pubblico”), ma certo dalla porta di servizio.

Flaubert - Il prometeico creatore di Madame Bovary trovava inutili e irritanti le donne, e quando andava a Parigi andava al bordello. Dove talvolta Maupassant si esibiva in coiti ripetuti, per il piacere dello stesso Flaubert e altri amici, che potevano guardarlo.
Guy de Maupassant era figlio di Laure Le Poittevin, sorella di Alfred. Gustave de Maupassant, il padre, era noto a Flaubert e Alfred Le Poittevin come Béjaune (giovane sciocco e inesperto”, Littré). Lo zio di Maupassant per parte di madre, Alfred Le Poittevin, era stato l’amico del cuore di Flaubert, che gli aveva indirizzato e confidato i suoi primi scritti. Un rapporto interrotto astiosamente quando Alfred decide di sposare Louise de Maupassant, la sorella di Gustave – si fecero due matrimoni incrociati. Salvo pentirsene alla stessa cerimonia di nozze e morirne due anni dopo – ma dopo averle fatto un figlio. Flaubert ristabilì il rapporto con Alfred solo dopo morto, ma allora con molte lacrime e abbracci al cadavere scomposto.

Genere – È irrilevante? La lista dei generi letterari è talmente lunga e minuziosa – compilata da wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_literary_genres
che è irrilevante di fatto al mercato. L’unico criterio è copiare subito il libro che, per caso, ha avuto fortuna.
È irrilevante anche perché in rapida continua trasmutazione. Una sigla, un riferimento immediato, più che una realtà sostanziale: chicklit etc.
La mappa dei generi di bookcountry
che li gradua in quote di mercato non sembra neanch’essa realistica. Le fette più grosse del mercato sono dei gialli – Mistery e Thriller - e del romantico. Tallonati da vicino dal Fantasy.  Seguono Science-fiction, Donne, New Adult, Erotica, Light Comedy – generi che da tempo non vendono nulla. Youg Adult fa largo spazio al paranormale...
L’unico uso utile è in libreria per cercarsi da soli i libri.
                        
Giuda – Ritorna in libri di successo, di Amoz Oz e Zagrebelsky, ma sempre come traditore. Ida Magli ne ha fatto in “Gesù di Nazareth” l’unico discepolo che abbia condiviso il senso vero del vangelo: “L’unico che l’affronta”, affronta la morte, per il dubbio di non aver capito,  di aver capito troppo”. E per questo “nessun  discepolo ha sofferto il Getsemani se non Giuda come l’ha sofferto Gesù. Proprio perché non avevano capito che l’unica forza è nell’uomo, proprio perché ricostruendo le costanti strutture del sacro – preghiera, rituali, sacrificio, magia, mediatore – potevano aggrapparsi a una forza ritenuta più forte dell’uomo, trascendente nei confronti dell’uomo, i discepoli «sono da più del Maestro»; sono, cioè, più forti di lui, perché non e sposti al rischio del dubbio, della propria debolezza, come, viceversa, Gesù nel Getsemani”.
E ancora: “Il Getsemani è il momento in cui Gesù verifica che non solo non è riuscito a convincere gli uomini che debbono lottare contro la morte, ma che non è riuscito neanche a convincerli di quanto  sia illusorio e falso usare la morte come strumento per salvarsi”.

Heidegger – Un dottor Heidegger, nel racconto di Hawthorne “L’esperiemnto del dottor Heidegger” (è ricompreso nella vecchia antologia dei “Marmi” Longanesi, “Il ritorno dell’impossibile”) è un vecchio mago, che illude i vecchi amici di una vita con l’acqua dell’eterna giovinezza. Cioè con l’illusione. Dopo essere stato causa di innumerevoli disgrazie. Alle quali è rimasto immune: il dottore è insensibile alle disgrazie che causa, compresa la disillusione.
Il “mago” della devota Hannah Arendt sembra identificarvisi, il vero Heidegger. Come tale viene percepito all’improvviso con la pubblicazione, da lui voluta, dei “Quaderni neri”. I filosofi non ci filosofano più, gli studiosi non lo studiano, i traduttori non lo traducono, neanche questi “Quaderni” al successo di scandalo, gli editori che se ne contendevano i titoli guardano altrove. Ci sono perplessità pure in Germania, l’unico posto dove i “Quaderni” sono letti: la Fondazione a suo nome si è svuotata e nessuno si propone in sostituzione. Non tanto per l’antisemitismo, quanto per la povertà delle argomentazioni. Che però gli era costante.
Rivedere tutto richiederebbe una lunga indagine, Heidegger ha scritto tantissimo. Ma un suo lettore ha netta questa sensazione: dopo aver esplorato la miniera aperta dal disprezzato Husserl, con Jaspers, mezzo ebreo anche lui per parte di moglie, e col fardello della riabilitazione a opera della infaticabile Arendt, il filosofo dell’autenticità era presto rientrato nella Selva Nera. Con pensieri corti e desolatamente grossolani. Da contadino figlio di sacrestano ergendosi a montanaro perché aveva imparato a sciare, ma non più di tanto. Il respiro corto era peraltro sempre stato costante in tutta la letteratura propria, articoli, discorsi d’occasione, poesie, molta corrispondenza.
Quella con la giovane Arendt, che per lui non era un’ebrea ma una diciottenne che sapeva il greco, fumava, e amava l’amore, è desolante di pochezza: “Non chiamarmi, chiamo io”, “Aspettani con la luce spenta”, “Non farti vedere quando entri”, benché in luoghi remoti, fuori città. Nient’altro.

Machiavelli – L’anno di Machiavelli, il 2014, non è stato prolifico. Le celebrazioni sono state numerose, ma ripetitive. Trascurato del tutto nelle ambizioni letterarie, di commediografo, poeta, narratore. Le uniche novità sono di scoperta non recente. Da ragazzo aveva copiato il “De rerum natura” di Lucrezio - lo aveva copiato anonimo per non incorrere nelle persecuzioni del frate Savonarola. La grafia è stata riconosciuta nel 1961.
Quattro anni dopo, nei corsi universitari ora raccolti in “Alcune questioni di filosofia morale”, Hannah Arendt ne rovesciava il presupposto: “È a mio avviso un fatto incontrovertibile che la gente è spesso tentata di fare il bene e deve fare uno sforzo per compiere il male… E Machiavelli lo sapeva: è per questo infatti che nel «Principe» sostiene di dover insegnare ai governanti «come non essere buoni»”. Anche perché, aggiungeva (ma è il punto principale) “per Machiavelli la norma in base alla quale si giudica è il mondo, non l’io - la norma è e esclusivamente politica”. Da qui la sua caratterizzazione come filosofo morale – scienziato della politica: “Egli è più interessato a quanto accade a Firenze di quanto lo sia alla propria anima”.

Sesso Resta oscuro per l’arte, che non sa figurarlo, più che per i preti. Flaubert dice il coito un bisogno immaginario - talvolta vi indulgeva al casino, per non perdere tempo (Maupassant e Taine pure, ma con regolarità, certi giorni della settimana, anche se non con la stessa puttana). Simenon si vantava di farlo ogni giorno, con una o più squillo, e invece si sa che era tutto famiglia. Il sesso “non esiste” in effetti in letteratura, se non per cenni fugaci, detti pornografia, che è invece l’occupazione maggiore di ogni essere umano, e probabilmente animale, più del lavoro. E dunque la letteratura di che tratta?  
Ma è un chiama e rispondi con Freud, questa dittatura del sesso sotto forma di peccato, di mistero sfuggente. Nel momento in cui a esso si appende la libertà, l’uno imponendolo, l’altro esecrandolo.

letterautore@antiit.eu 

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