mercoledì 8 aprile 2015

Meglio intercettare che lavorare

Sostiene il giudice Gratteri, con Maria Antonietta Calabrò sul “Corriere della sera”, che intercettare è conveniente: un’intercettazione “costa solo 3,5 euro al giorno”. La notizia è interessante perché, a fronte di una spesa per intercettazioni sui 250 milioni di euro, si hanno 72 milioni di giornate ascoltate. E quindi almeno 72 milioni di giornate lavorative, ma probabilmente il doppio e il triplo, gli agenti lavorando in coppia, con un supervisore più o meno stabile. Diciamo fra 72 e 216 mila giornate di lavoro. E altrettante per la trascrizione? Siamo già a 144-432 mila giornate di lavoro. Col vaglio delle trascrizioni e la compilazione delle relazioni all’autorità giudiziaria siamo già a mezzo milione di giornate lavoro, e forse a un milione.
Mezzo milione, almeno, di giornate lavorative sono un bel costo, ma non è questo il punto. Il punto sono due punti: 1) le intercettazioni non servono al processo, 2) hanno indebolito e anzi obliterato la capacità investigativa. La cosa non è contestabile perché ormai le intercettazioni sono la sola informazione con qualche frillo. Sia pure malsano, da “Novella 2000”. Ma servono a indebolire l’indagato e indurlo a confessare e\o accusare altri, come il carcere preventivo, gli interrogatori mancati, e altre forme di costrizione psicologica.  Con effetti non necessariamente conclusivi nel perseguimento del crimine – la maggior parte degli oltre mille carcerati di Mani Pulite con la confessione-accusa a catena sono usciti assolti. I processi sono orientati per l’eco mediatica, che però è un’altra cosa, non quello che si richiede alla giustizia. Che, al contrario, più che attardarsi su pettegolezzi e opinioni, dovrebbe arrivare a conclusione certe e rapide, e concludersi possibilmente con condanne. Le chiacchiere, se Dio vuole, ancora non  decidono i processi - non  tutti. Ma si è perso il fiuto, che è l’anima dell’investigatore.
Effetto ancora più perverso è questo: l’estraniazione degli apparati repressivi, soprattutto i Carabinieri e la Finanza, dalla prevenzione e la punizione del crimine. Tangibile e sensibile soprattutto nelle aree di mafia, a crimine cioè spicciolo e diffuso. Ognuno lo può vedere con la propria stazione dei Carabinieri: un ufficio-bunker, con orari restrittivi, senza alcun contatto con la strada, il quartiere, il paese, la città. Il fiuto, i contatti, la confidenza, la presenza sul territorio, sono il fulcro dell’investigazione, della repressione stessa. Le intercettazioni generalizzate “assolvono” anche gli inquirenti, li esimono da altre e più fruttuose indagini.
Si prenda il calcio, dove si può anche ridere – ma non del tutto, poiché ci sono feriti, e ci sono stati morti. Un cumulo di videosorveglianza e intercettazioni con daspi e regolamenti “ferrei” rende l’accesso alla partita asfissiante agli appassionati, e costosissimo alle forze dell’ordine. Prendere i cento – o sono solo dieci - romanisti teppisti, che tutti peraltro conoscono, questo no, non è possibile.
L’intercettazione è un lavoro comodo, oltre che gratificante, in contatto con giudici e giornalisti, la crema della nazione. Ma la nazione gradirebbe dai suoi sbirri un po’ più di fiuto, di lotta al crimine sostanziale: di prendere i ladri subito, non dopo dieci anni di intercettazioni, di prenderli con prove a carico e non chiacchiere, e con loro gli assassini, i concussori, così devastanti in ogni servizio pubblico, i mafiosi.

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