Ritorna il
Fanfani-Moro? Il moroteismo non si vede, però è vivo, anzi – in queste Camere –
vivissimo. Anche i vantaggi alla partenza sono distribuiti in modo diverso: Letta
che pensa di affossare Renzi appaiandolo a Berlusconi è poco furbo, mentre Moro
era furbissimo – tatticissimo (e non ha capito niente di Berlusconi, Letta, al
contrario di Renzi).
Ma Renzi
è senza equivoci il Fanfani del 1958 che va come un treno: l’uomo del fare, forte
di quello che ha fatto e per questo sicuro che tutto gli riuscirà. E Letta è nella
stessa posizione di Moro, che partendo da fermo riuscì ad appaiarsi al cavallo
di razza e addirittura a sopraffarlo.
Altre
analogie sono l’autocancellazione della sinistra Dc, a favore del moroteismo. Tutti
i prodiani - per esempio Boccia. Rosy Bindi che è se stessa. D’Attorre che è
(era) De Mita. E altri che non vale la pena stare a ricercare.
La
sorpresa è la cancellazione dell’ex Pci. Netta. Non asfaltato dai cavalli di
razza - che del resto sono stati messi in corsa con ottimi vantaggi da
Napolitano al Quirinale. Ma autocancellato – se non sui media, ma lì giusto per
fare chiacchiere. I nomi già dicono l’irrilevanza: D’Alema, Veltroni, Bersani, e
gli epigoni, Cuperlo, Civati, Fassina (vice-ministro dell’Economia…). Al centro
e in periferia: il credito di Civati e Cuperlo a Milano è zero.
Anche il
credito di D’Attorre a Melfi, o in Calabria, è zero. O di Boccia a Bari. Ma come
tutti gli (ex) Dc i due sono tenuti in corsa dai cavalli di razza. Sono
lettiani, per dire, ma ci stanno ripensando – era un classico anche tra i
morotei, mai oltranzisti.
L’unica vera perplessità è il record di Fanfani. Delle cose fatte, più
che della durata politica. Una semplice lista dà la misura della sfida che per
Renzi si pone: la riforma agraria, il piano casa, la liberazione delle campagne
dalla mezzadria, i piani
verdi per il rinnovamento del’agricoltura, ottimi, i rimboschimenti, le
autostrade, la Rai, gli Enti economici (ora “campioni nazionali”), che ogni
anno pagano al Tesoro una decina di miliardi di dividendi, l’edilizia popolare, con due milioni di vani, 350 mila case, in quindici anni, la scuola media unificata, superba istituzione, coi libri gratis, il doposcuola
e gli edifici scolastici, di cui metà degli ottomila Comuni d’Italia non
disponeva, si andava a scuola dove capitava, il centrosinistra, il
centrodestra, il quoziente minimo d’intelligenza per i diplomatici, che ne
erano privi, la moratoria nucleare, la nazionalizzazione dell’elettricità,
seppure a caro prezzo, le regioni, idem, la direttissima Roma-Firenze, il
referendum popolare, gli opposti estremismi, e i dossier, di cui
montò il primo, lo scandalo Montesi, contro il venerabile Piccioni. Infine
l’austerità, che dal 1974 ci governa, prontamente adottata da Berlinguer, e dal
papa Paolo VI alla finestra. E il divorzio, da lui sancito contro la volontà,
invece, del papa. Anche lui stava
sereno: “Affrontiamo l’austerità con animo sereno” disse nel 1974, nella prima
grande crisi del dopoguerra.
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