sabato 2 maggio 2015

Il tradimento degli intellettuali in Germania

Un libro vecchio e non ristampato, e forse una tesi di laurea o di dottorato, ma una rilettura stranamente prospettica, a ridosso delle polemiche sul nazismo di Heidegger, dell’università degli ani 1930. La guerra 1914-1918 è non solo tedesca, nazionale, ma anche antiliberale e antidemocratica, ideologica. Ci sono nella guerra le radici, proprio nella sconfitta, della debolezza della repubblica di Weimar. Destra e sinistra unite, per il Volkstaat, stato di massa autoritario. “Del Volkstaat” era pubblicazione di Wilhelm Liebknecht, il padre di Karl, e poi del partito socialdemocratico, collaboratori anche Marx e Engels, Diventerà in guerra una bandiera della destra, reazionaria anche se rivoluzionaria. Insieme col militarismo: “Il militarismo tedesco  è nato dalla civiltà tedesca”, afferma l’Appello dei 93, il primo e più argomentato di una serie.
Canfora ha costruito un tronco solido del nazionalismo tedesco, documentato con una ricca antologizzazione di testi militanti, dei migliori intellettuali, filologi storici, filosofi, sociologi, perfino sovrabbondante. Compreso Tönnies, liberale e poi socialista. E Thomas Mann, che non firma gli appelli imperialisti, ma nei “Pensieri sula guerra” “assume toni e svolge pensieri ancora più inquietanti”, annettendo al militarismo Nietzsche, oltre all’amato Federico il Grande  – e Canfora non tiene in considerazione le successive voluminose “Considerazioni di un impolitico”, 1917.
Opera minuta e colossale sul tradimento degli intellettuali. Una sorta di “Notizie di guerra” di Marc Bloch a opera dei migliori intellettuali: tutta l’università tedesca, quattromila professori, con rare eccezioni, perlopiù mute, convertita all’imperialismo, con appelli e manifesti. A partire dall’Appello e dalla Spiegazione dell’ottobre 1914, che fecero scalpore in Europa, a giustificazione dell’invasione del Belgio, a ruota dell’appello analogo degli storici dell’università di Bonn l’1 settembre, con seguito di numerose mobilitazioni. Fino alle missioni d’incoraggiamento presso le truppe d’occupazione, e più in Ucraina che in Belgio. Filo conduttore l’impegno politico e intellettuale di Wilamowitz, filologo principe, di cui Canfora aveva pubblicato la prima raccolta degli scritti politici – forse la traccia originaria dello studio, ma già percorsa qualche anno prima da Arnaldo Momigliano: “Nel quadro complesso dell’interventismo della cultura tedesca negli anni della guerra gli antichisti hanno un posto di rilievo”.
Canfora documenta una “monotona ed ossessiva oratoria professoria”, ipernazionalista, nel 1914, e dopo. Fino a inficiare i fondamenti della repubblica di Weimar, che nascerà tra fortissime resistenze. Una intellettualità più estremista e sciovinista del governo imperiale e degli Stati Maggiori. C’è una “libertà tedesca”, ma è altra cosa, e una “democrazia germanica”. L’“antica libertà tedesca” è la “spontanea subordinazione del tedesco al suo capo”, che sarà poi il Führerprinzip. Nel quadro vecchio-nuovo dello Stato “organico”, il Beamtenstaat di Hegel – nonché di Platone, naturalmente. Il Beamtenstum e il Volkstum di tanta pubblicistica degli anni 1930, hitleriana e non.
La guerra tedesca – del tutto isolata da quella austro-ungarica, Canfora non lo nota ma si vede - fu lo sbocco non casuale della società guglielmina, o nuova Germania. Della “società soddisfatta” di Norbert Elias (il saggio più corposo confluito nella raccolta “I tedeschi”), del 1871-1918, “rigorosamente regolata in senso gerarchico” – quello che all’epoca si chiamava filisteismo. Con una riserva mentale marcata però nel caso degli intellettuali, o forse un congenito opportunismo: con tanto entusiasmo sciovinista cioè, anche allora, nella guerra e tante reticenze dopo. Canfora cita una ricerca del 1920 che dà 75 dei 93 firmatari del primo Appello ignari o in disaccordo coi suoi contenuti e il tono usato.
Un libro venuto sulla traccia dello storico tedesco Fritz Fischer, che cinquant’anni fa ha documentato l’“Assalto al potere mondiale” tentato nel 1914 – Un’opera e uno storico contestati ma non smentiti. Il lavoro di Canfora passò invece sotto silenzio, quasi fosse all’epoca, 1979, propaganda di Berlino, della Germania comunista, benché pubblicato in un collana diretta da Angelo Bolaffi, Cacciari e Marramao. Con l’andamento serrato del pamphlet – anche se di ardua lettura, con estese citazioni in tedesco, nonché in latino e perfino in greco.
Luciano Canfora, Intellettuali in Germania, tra reazione e rivoluzione

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