Una
rarità è anche il libro. Oscar Meo è un fondista di Kant, suo unico oggetto di
studio da molti anni, benché corra quasi in solitario. I tre saggi di questa
raccolta si occupano del colore nell’estetica di Kant, del problema della
verità, più impostato che risolto, e del comico. Il comico in Kant?
Si tratta
in realtà dell’arguzia (Witz), di cui
Kant tratta nella “Terza Critica”, in appendice, là dove abbozza una tassonomia
delle arti. L’appendice ebbe durevole influsso, subito su Jean Paul, poi sull’ironia
romantica, su Hegel e fino a Freud. Ma Kant, che ha scritto sul tragico, è insensibile
alla commedia – non ne parla mai e quando ci inciampa, nell’“Antropologia”, la
aggira - “Perché gli anziani preferiscono la commedia, fino alla farsa”, è più
un esercizio sugli anziani che sulla commedia, e così via. Il Witz però lega al gioco, su cui spende
qualche parola di più: il “gioco di fortuna”, il “gioco di pensieri”, grazie al
quale “alla fine non si pensa nulla”, il “gioco musicale”. E soprattutto,
inaudito, è lui stesso un freddurista.
In
appendice è riprodotta la controrelazione che Kant dovette tenere, in quanto ordinario,
all’assunzione all’ordinariato di Johann Gottlieb Kreutzfeld alla cattedra di
Poetica. Una critica bonaria alla relazione del nuovo professore, più che altro
una divagazione. Con una micidiale confutazione del matrimonio: “Nel matrimonio
accade ciò che Lucrezio dice della morte: «Allora appunto la vera voce prorompe:
cade la maschera, rimane la realtà»”. E un sornione siluro all’innamoramento. Alla poesia
dell’innamoramento.
Kreutzfeld
ha trovato il culmine della poetica in Petrarca, nell’amore per Laura, “un enigma”, riassume Kant, “degno di Edipo”. Il controrelatore lo compiange: “L’infelice,
mi sembra, si affatica inutilmente a spiegare sulla base dei propri principi la
castità, l’ardore e la costanza del Petrarca”. Quando si sa che “l’amore fisico
è il desiderio della persona amata,
mentre del poeta Orazio dice: «Ama i
versi, di questo solo si cura»”. Il filosofo disseccato di Königsberg era in realtà
sanguigno.
Il seguito
sono due pagine sull’amore che Petrarca, “avendo abbracciato una nube al posto
di Giunone”, abbellisce “dell’eleganza e dell’ardore dei propri versi e della
celebrità del proprio nome”. Due pagine da commedia.
Il finale
è memorabile. Petrarca va dal papa, che vuole vederlo, vederlo sposato: “Avendogli
questi detto che era addolorato per la sua sorte, e che si sarebbe adoperato
perché egli potesse prendere la sua Laura in moglie, il poeta esitò. Poi, alle
insistenze del pontefice, rifiutò apertamente. Adducendo di temere che, se
avesse sposato Laura, i suoi versi avrebbero perduto di ardore ed eleganza”.
Oscar
Meo, Kantiana minora vel rariora, il
melangolo, outlet, pp. 137 € 6,46
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