Sul filo del paradosso, l’ambasciatore
Romano sostiene che i due blocchi irreggimentavano la violenza. Sotto
l’ombrello nucleare, che non era esattamente protettivo ma minaccioso, per tutti. Senza cioè vittoria
possibile. Mentre lo sciogliete le fila ha accresciuto la litigiosità nel
mondo. Moltiplicato le guerre, le stragi, gli stermini tribali e razziali.
Portando la guerra perfino in Europa,
nella ex Jugoslavia e ora in Ucraina e con la Russia.
È vero, ma fino a un certo punto. Sono
ora le guerre a basso voltaggio,
“tradizionali”. Mentre nei quaranta e più anni di guerra fredda non ci furono forse
guerre “calde” molto più vaste, gravi e insidiose, con lager e proscrizioni, e
esodi\stermini di intere popolazioni? Non è neanche vero che col condominio
atomico non ci fu mai il rischio di un’ecatombe: ci fu un allarme rosso nella
crisi dei missili a Cuba nel 1962, e un altro nella guerra del Kippur
nell’ottobre 1973.
È un paradosso però utile per l’epoca
così eccezionalmente smemorata – ci pensiamo nella pace perpetua: non siamo
nella fine della storia, la politica (diplomazia) deve stare all’erta come
sempre. Un utile promemoria Romano ha costruito raccogliendo le note in
argomento, una trentina, che quotidianamente pubblica per la posta del
“Corriere della sera”. “Cinquant’anni di pace”, “La rivoluzione ungherese”, “La
primavera di Praga”, fino alle “Rivolte arabe”.
Sergio Romano, In lode della guerra fredda. Una controstoria, Longanesi, pp. 132 €
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