Sembra un
“Easy Rider” classicista, talmente è spontaneo, ma è il romanzo di Yourcenar
giovane italianista ottant’anni fa, amica e corrispondente di Evola e altri
sulfurei protagonisti della Roma prebellica. Rifacimento a più riprese, spiega
nella dettagliata nota alla riedizione 1976, di una delle sue prime prove, “D’après
Dürer”, una cinquantina di pagine, confluite nel 1934 con due prove analoghe, “D’après
Greco” e D’après Rembrandt”, nel volume “La Mort conduit l’Attelage”. Residui “isolati
di un enorme romanzo concepito e in parte febbrilmente composto tra il 1921 e
il 1925, tra il mio diciottesimo e il mio ventiduesimo anno”. Il romanzo di due
secoli, abbozzato in questa prima parte, l’unica poi compiuta, in dettaglio e
nell’insieme. Con una sapienza, anche, vertiginosa: di uomini, cose, fedi,
saperi, eventi, paraventi, su una tela di verità storiche bene individuate..
Attraverso
Zenone, alchimista e medico itinerante, com’era l’uso fra i giovani studiosi, Yourcenar
rappresenta il Cinquecento. Il secolo multiforme e fertile a cui l’Europa deve
la sua ora declinata fioritura. Lo fa partire da Bruges, suo proprio luogo di
riferimento, delle memorie familiari, in assenza di una patria, fiammingo che
emigra in Francia, sulla strada per Compostela, e gli fa attraversare i centri
culturali e politici dell’epoca, condividendone i fermenti. Soprattutto
italiani: molto Leonardo, molto Campanella, Bruno, Cardano, Della Porta, Pico
della Mirandola, e altri – ha anche un parente canonico, bibliomane, che a Bruges
si chiama Campanus. In una rappresentazione filologicamente accurata, mai arronzata.
Compresa l’unitarietà cristiana, cattolica, del secolo, malgrado gli scismi.
Il vero Zenone
fu filosofo a Elea, vicino ad Agropoli. Molto amato da Platone, che lo dice “alto
e di bell’aspetto”, e “identificato in gioventù come l’amasio di Parmenide”, il
caposcuola di Elea. Aristotele lo ricorda come l’inventore della dialettica. Plutarco
come maestro di Pericle. Di suo, è negli annali per i paradossi sul moto: Achille
e la tartaruga, la freccia, lo stadio. Nel romanzo è una spugna, ricettiva,
riflessiva, del secolo spumeggiante. Ne sarà vittima, ma non è ribelle
(vittimista): vive la sua libertà, è testimone del tempo.
Una
lettura posata, riflessiva. Solo lievemente trasgressiva – e a patto di avere
presente Sesto Empirico, gli “Schizzi pirroniani”, 170: Zenone il filosofo aveva
in grande stima egiziani e persiani perché sposavano le sorelle e le madri. C’è
un incesto nella sessualità indistinta e pervasiva di Yourcenar? Crebbe col
padre dorato, la madre essendo morta partorendola. Zenone è personaggio
inventato, avverte la nota 1976, un nome tratto da Montaigne. In Montaigne
ricorre, 1168, in questi termini: “Si dice che Zenone ebbe a che fare con una
donna una volta sola nella vita, e per urbanità, per non sembrare disdegnare
troppo ostinatamente il sesso”.
Un’epoca
recente che sembra remotissima. Quella di Yourcenar, non il Cinquecento: ancora
vent’anni fa si gustava Yourcenar, oggi solo parlarne è una bizzarria – “leggi
ancora Yourcenar?” Molto si
è formata su Walter Pater, “Mario l’epicureo”, e i “Ritratti immaginari” –
un’ascendenza che critici e biografi omettono: qui si vede. Su Maeterlinck ovviamente, la sensibilità umbratile, i personaggi allusi
più che contornati. Ma soprattutto con D’Annunzio: tutto li lega, il gusto
classico, la lingua, il modo di vita, il cosmopolitismo, la sensualità
coltivata – solo temperata in Yourcenar dalla frugalità americana dell’età
matura.
Marguerite
Yourcenar, L’opera al nero
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