Alla
rilettura è peggio: è un romanzo antisemita. È la storia di un ebreo condannato
a non amare, per una colpa che non viene detta, quindi per la sua condizione
esistenziale. E d’ignobile sadismo, sotto forma di gelosia, incapace di
apprezzare la musica e ogni altra bellezza, che la politica di cui vive riduce a
conventicola e carriera.
Un
accumulo di revulsioni. Tutte distintamente marchiate dall’ebraismo. Sulla stessa
tela di fondo, a Ginevra, di cordate, intrighi, superficialità, snobismi, che
spinsero Céline a vomitare – Cohen fu diplomatico al Bit di Ginevra negli
stessi anni in cui Céline era all’Oms. Un atto di dolore? Personale – Cohen è
anche lui nativo di Corfù come il protagonista? No, lo scrittore non appariva
intristito a “Apostrophes” all’uscita del suo romanzone, né addolorato, solo
contento del suo piccolo successo.
È una
violenta parodia dell’amour fou, o
dell’amore. Ma a danno di una donna senza volto? E perché il cattivo è un ebreo
di Corfù, con i suoi strampalati parenti? Tutti peraltro improbabili, il
protagonista compreso, e innecessari. Qual è la chiave – altra che
l’odio-di-sé?
Cohen ha
pure scritto un libro d’amore. Per sua madre. Nasce da lì l’insolenza contro le
donne – l’insolenza?
Albert
Cohen, La bella del Signore
Nessun commento:
Posta un commento