Corrado Alvaro – Singolare
scrittore, d’intelligenza e esperienza cosmopolite, abbandonato alla memoria
del piccolo paese d’origine, San Luca nell’Aspromonte. A una fondazione a suo
nome, molto volenterosa, ma naturalmente politica e poco studiosa. Moralista acuto
e incisivo, del tutto trascurato. Autore anche di narrazioni felici, di grande apertura
sulla contemporaneità, ricordato solo per la più provinciale di esse, i
racconti di “Gente in Aspromonte”, di verismo ritardato, minuto, micro, al
limite del patologico. Giusto perché rientrano nel dolorismo finto che si vuoda
pancia piena con cui l’epoca si santifica.
Amore – È scomparso dal
Novecento, eccetto che in “Harmony”. E naturamente nel “liquido” (informe)
Duemila, che è già adolescente ma non ne ha le turbe. Si dice per la
sessualizzazione del tutto, ma allora di un certo tipo. Al tempo di Boccaccio
la donna angelicata scendeva dal piedistallo e si toglieva i veli, ma
arricchendosi di umori e saperi. Ora si è persa la nozione dell’amore come
amare – che è anch’essa del trecento, di Petrarca. Ma si è perso pure il corpo:
la licenza è una schiacciasassi. Una macchina livellatrice e non un tempera
matite, non acuisce, assottiglia, affina. E non porta a niente, altro che all’insoddisfazione.
Si cerca invano, nell’editoria e nelle “culture” dei giornali, il romanzo del
corpo, del sesso – il corpo senza anima non è niente.
Campanella – “Filosofo
contestatore”, così lo presenta l’edizione Folio dell’“Opera al nero” di
Margherite Yourcenar, di cui è uno dei personaggi. Un filosofo si direbbe in
effetti per natura contestatore. Ma Campanella in modo speciale, che si fece
trentun’anni di carcere, senza nessuna colpa specifica.
Yourcenar lo fa anche cabalista, “sotto la guida dell’ebreo
Abraham”. Yourcenar negli anni italiani prima della guerra fu molto attratta da
Campanella, che studiò approfonditamente. C’era allora una pubblicistica vasta sul
filosofo, poeta e politico di Stilo. Poi lasciato, nel secondo Novecento, alle
sole cure di Luigi Firpo, e infine trascurato.
Dolorismo – È il genere del
Millennio: l’autofiction dolorista. Di piccole e minute cose, di preferenza –
ma certo nel grande dolore del mondo. Non c’è più il sesso nei giochi dei
bambini, perversi, ma code tagliate alle lucertole, baffi strappati al gatto, fili
strappati al motorino, magari della sorella, e colpi di fionda traditori. Ma:
che cos’è una fionda?
Dante – Non si evoca
nell’evento recente che più, a suo modo, ha anticipato: l’Olocausto. Né dalla
parte degli offesi né da parte degli studiosi – Benigni compreso, che pure lo
conosce. Nessun accenno diretto nemmeno in Primo Levi, che pure ha costruito
molte testimonianze su calchi danteschi. A cominciare dallo “Hier ist kein warum!”, la
risposta della guardia quando il futuro salvato nel suo accidentato tedesco
chiede che succede durate la “traduzione”: qui non ci sono perché – “lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Ma
poi ovunque: nella “traduzione” stessa, nel triage
all’arrivo al campo, nei gironi del lager, nei mondi ultraumani dei sommersi e
dei salvati.
Cinquecento – Si legge,
bizzarramente, in senso inverso al secolo che fu: brillante, gaudioso,
avventuroso. Pieno di guerre e di stermini, come ogni altro secolo, ma inventivo
e resistente. Di intraprendenza e innovazione, nelle arti e nel pensiero. Di
sfide e rivoluzioni del sentimento religioso e della stessa religione. Pieno di
personalità e opere che segnano la storia.
Viene intristito non solo nelle conversazioni di Radio 3 – lì è tutto grigio, nei toni sempre del
beghinaggio, sono parte costituente del politicamente corretto (il beghinaggio
ha sostituito radio Tirana stentorea). In tutte le evocazioni. Il tono doloroso
sembra d’obbligo e non si vede perché. Soprattutto nelle rappresentazioni mediatiche,
per effetto dei suoni: la musica vi era ilare, di ballo, di battaglia, d’amore,
con fanfare eccitanti e melodie eccitate, ma si fa risuonare afflitta e
afflittiva.
Machiavelli – È grande, e dura, perché “cattolico”:
Corrado Alvaro mette “Il principe” tra i pochi, una dozzina, libri dal salvare
(“Libri di cento pagine”) per un motivo particolare, per il suo “residuo
religioso”, il suo essendo “un pessimismo di natura religiosa”. Machiavelli,
argomenta Alvaro, “non servì mai come guida” politica, né vivo né dopo morto.
Fu ed è ammirato per lo “stile da narratore, da conterraneo di Boccaccio”. La
sua cattiva fama è dovuta ai religiosi: “Egli fu odioso a tutta la riforma
protestante, a tutto il protestantesimo religioso e laico, al puritanismo
religioso e politico, alla stessa Controriforma”. Non senza ragione: “Egli era
cosciente dell’inefficacia della religione come fatto universale, pur
augurandosela come regola e morale nazionale”. Ma era “proprio italiano e ben intriso
del cattolicismo nostrano, cioè della visione cattolica delle cose del mondo, col
suo senso della natura umana, delle sue debolezze e della sue magagne, mentre il
puritanismo fonda la sua mortale su un’immagine ideale della natura umana”. Modelli a cui il cattolicesimo stesso diede
dei contributi, Savonarola, Campanella, Bruno, seppure spesso in sospetto di
eresia. Machiavelli ne rifuggì per quello che si dice il suo realismo, che è
invece un umanesimo “romano”, cattolico.
Mahler – Honeck lo
restituisce, con l’orchestra di Santa Cecilia, a Vienna. Melodico, ritmico,
idillico, giocoso – “umoresco”,
ilare. E al secolo, di cui è la traccia dominante, ripreso perfino tematicamente dalle tante musiche da film. Apparentato a lungo a Schoenberg, semmai suo epigono, e quasi
dodecafonico e atonale, a uso – e per la protervia – delle avanguardie. Tradito, forse, anche da un malinteso trionfalismo
etnico, dai riflessi condizionati popoviani. Mentre è tardoromantico, con le “musiche a programma”, sui temi e le
canzoni del “Corno magico”, la bibbia del protoromanticismo.
La filologia musicale è poco rispettosa. Giusto di quel tanto per
appropriarsi del già fatto, con trascrizioni, adattamenti, riscritture.
Sofferenza – ll lettore
attento, quello che come voleva Voltaire legge con la matita in mano, con la
quale sottolineerà per ricordare e argomentare, ripetendo nel suo piccolo le
glosse che fanno ricercati e famosi i libri letti dai grandi autori, si vuole
sofferente. Spulciando i libri d’occasione, troppo spesso purtroppo
inappetibili perché sottolineatissimi, i passi più marcati sono quelli in cui
si dà atto che siamo in un valle di dolore. Rare le sottolineature di passi che
si vogliono brillanti, o ingegnosi, o sentenziosi – del genere “Cavour fu un
leone nelle sembianze della volpe”, “L’amore è una fenice”, “Ognuno è un’isola”.
letterautore@antiit.eu
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