Aforisma - Una rincorsa
continua, scrive Felice Ciro Pappano a commento della raccolta di Valéry intitolata “Cattivi pensieri”, sullo “stereotipo” – la “dannazione
faustiana”, si dice lo stesso Valéry. Esito e matrice delle avanguardie che
segnano il primo Novecento: l’ansia di innovare (rompere, aprire) e sistemare
insieme. Di cui poco rimane se non il movimento stesso, il riconoscimento
dell’esigenza di muovere, muoversi. Innovare cioè, il riflesso condizionato
dell’intelligenza.
Decadenza – La decadenza in letteratura Valéry vuole “sistematica”:
“il prodotto di uomini più dotti, più ingegnosi e a volte anche più profondi
degli scrittori precedenti, di cui hanno ripreso tutti gli effetti annoverabili, accolto, classificato, concentrato il
meglio”. Era il “programma” del
postmoderno.
La decadenza fa “coesistere”, dice
ancora Valéry, “opere esteriormente
molto diverse, che per la loro caratteristiche sembrerebbero appartenere
a epoche ben distinte”. L’una “di straordinaria ingenuità”, l’altra
“espressione di un selvaggio”, accanto all’autore “così totalmente metaforico che risulta
impossibile distinguere fra ciò che vuole dire e l’espressione che usa”. Ma
uniformi: “Questi autori così diversi sono infinitamente vicini. Hanno letto gli stessi libri, gli stessi giornali – hanno
frequentato gli stessi licei, e avuto in genere le stesse donne…”.
La scrittura delle scuole di
scrittura è necessariamente decadente, in questo senso – donne escluse,
inavvicinabili.
Dialetto – Primo Levi lo vedrebbe bene restaurato nei nomi e
toponimi, come più sensato e comunque espressivo. Una serie di esempi portando,
nell’elzeviro “Lo scoiattolo” (ora in “Ranocchi sulla luna e altri animali”),
che in effetti rimandano, nella forma italianizzata degli ufficiali dello stato
civile, al suono falso dei nomi e toponimi tirolesi o sloveni italianizzati
delle aree di frontiera.
La scoperta Levi fa casualmente,
presentando un suo amico Perrone a delle vecchie zie di provincia che si
ostineranno a chiamarlo Munssù Prún.
Nel caso, la dialettizzazione non gli piace, “la distanza fonetica tra Perrone
e Prún è grande”. Ma in altri la trova invece persuasiva: “In Piemonte, cognomi
come Bergesio, Cravetto, masoero, Schina, Súita, Pentenero, vengono subito
riconosciuti come nostrani, e nel contesto di un discorso in dialetto vengono
restaurati alle loro forme originarie (Bergé
= pastore, Cravèt = capretto, Masué = mezzadro, Schin-a = schiena, Süita
= siccità, Pentné = pettinaio)”. Le
forme italianizzate rivelando fastidiose, per gli stessi interessati.
Ma poi anche del Perrone-Prún Levi non
sa che pensare. Dopo che ha scoperto che prún
è lo scoiattolo. Deluso, anche, dal Dizionario dei cognomi italiani” di E. De
Felice, che di Perrone fa “uno dei molti dervati da Pietro”.
Fascista – Fascista è il linguaggio, asserì Roland Barthes
in una lezione, subito memorabile (trasmessa alla radio, pubblicata su Le
Monde”) e poi dispersa, al Collège de France nel 1977, “Pier Paolo Pasolini e Sade”
– una lezione per la verità aggrovigliata sulla trasmissione dei saperi,
insomma sulla cultura, di quanto sia autoritaria, un esercizio di potere. In
Italia è anche peggio. Negli anni della lingua di legno, o biforcuta, o triforcuta,
della doppia e tripla verità, e anche dopo – ammesso che siamo “dopo”. Chi non
è fascista in Italia? Da Curcio a Berlusconi e Renzi, a Fassina, e un poco
anche Camusso. Fascista era la stessa storia, per Elsa Morante – Morante e
Moravia erano famosi per “non” essere fascisti, Carlo Emilio Gadda se li
ritrovava militanti importuni se poco poco usciva per cena la sera, da single che pure doveva sfamarsi.
Genet – Trascurato e anzi obliterato nell’epoca in cui il “tutto
sesso” e il transgender di cui fu il
pioniere fa genere praticamente unico in romanzi, racconti, teatro e cinema. In
effetti, aveva esaurito il genere nel mentre che lo imponeva, non recedendo da
nessuna “trasgressione”. Fu però pedofilo manifesto e anzi esibito in numerose
prose, in cui celebra il “l’occhio di bronzo”, la rondella”, “la cipolla”, e “i
fanciulli” (più esplicito che altrove forse in “Pompe funebri”: “La venerazione
che porto a questo posto del corpo e l’immensa tenerezza che ho accordato ai
fanciulli che mi permisero di penetrarvi, la grazia e la gentilezza del dono di
questi bambini…”), e questo oggi lo condanna .
Merini – Resta inspiegata, la follia in letteratura non come
oggetto ma come soggetto: il caso preclaro è Alda Merini, ma anche Saro Napoli
(“Incom”), Dino Campana, ufficialmente anche Pound, o nel Seicento il Tasso. Di
una capacità di versificazione facile e insieme qualitativamente elevata, unita
alla pluralità degli interessi, a un’estrema sintesi e rapidità di giudizio, e
sempre a un equilibrio malgrado tutto robusto. Le proprietà poetiche della
schizofrenia restano da indagare. O la schizofrenia in poesia.
I testi che si propongono in
argomento sono un’antologizzazione dei “casi” storici. Il sito francese Babelio
repertoria 1.665 libri sul tema “follia”, ma si tratta di opere che abbiano
personaggi folli o situazioni di follia, più qualche testo bio-bibliografico.
Non c’è l’analisi del rapporto poesia-follia. Lo psichiatra Vittorino Andreoli,
nel voluminoso “Il matto di carta” o “la follia nella letteratura”, 2008,
propone un repertorio di situazioni, storie e personaggi che ricorrono, con
qualche problema psichico. Ma non degli
autori, che siano vittime di follia in questa o quella fase della loro
esperienza, e magari per lunghi periodi, o a intermittenza.
Parassita – È arte
ammirevole, spiega il Primo Levi naturalista de “Il salto della pulce”, una
delle sue divagazioni parascientifiche ora raccolte in “Ranocchi sulla luna e
altri animali”: “Fra gli animali, sono proprio i parassiti quelli che dovremmo
più ammirare per l’originalità”, dell’anatomia, della fisiologia e delle
abitudini. Sono “fastidiosi o nocivi”. Ma che meraviglia”! “Basti pensare ai
vermi intestinali: si nutrono, a nostre spese, di un cibo così perfetto che,
unici nella creazione insieme forse con gli angeli, non hanno ano”. O alle
pulci dei conigli, “le cui ovaie, grazie ad un complicato gioco di messaggi
ormonali, lavorano in sincronia con le ovaie dell’ospite: così coniglia e
ospite figliano contemporaneamente”, per cui ogni coniglietto “uscirà dal nido
già provvisto di pulci sue coetanee”.
Una favola naturale per una volta in Primo Levi con una morale:
“Bisogna ricordare che il mestiere di parassita “colui che mangia al tuo fianco”) non è facile, né
nel mondo animale né in quello umano”
Poeta nazionale – La Francia
non ne ha uno. Nemmeno la Spagna. L’Italia invece ne abbonda, da Dante a Montale.
Anche l’Inghilterra, che peraltro privilegia Shakespeare. E la Russia fa
l’analogo con Puškin. C’è un perché? Gli Stati Uniti ne sono alla ricerca,
avendo rinunciato (provvisoriamente?) a Pound – in Whitman si riconoscono e non
si riconoscono, Pound è “mondiale”, e multilinguistico.
Provvidenza – È rimasta
manzoniana, dove Manzoni l’ha collocata nel romanzo, nei saggi e nelle lettere.
Parte quindi, sentitamente, dello stesso pessimismo. Senza nulla di divino,
malgrado i proclami, anzi con un che di profano e materiale, se non
materialista. Come l’ordine delle cose, degli accadimenti sociali, politici e
naturali, non a buon fine, e nemmeno regolati.
letterautore@antiit.eu
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