Albero di Giuda – È stato e resta molto diffuso, anche come specie.
Oggi è il carrubo, diffuso come pianta ornamentale urbana dopo essere stato a
lungo pianta alimentare, specie nell’ultima guerra. Per molti secoli è stato il
fico. E anche un pioppo tremulo.
Autofiction – Vi si cimenta Valéry, in uno dei “Cattivi pensieri”,
sotto la lettera “D” – che non vuole dire nulla – e un titoletto “Corpo”: “Uno è incupito dal tramonto. Un altro
dall’aurora. E c’è una tristezza da Mezzogiorno pieno… Quanto a me, verso le
tre, il più bel giorno mi trafigge crudelmente l’anima”. Variabile.
Valéry, sempre pensieroso, subito dopo
si ricrede: “Di se stesso l’uomo sa troppo poco e non può che saperne troppo
poco – perché le sue confessioni, la sua «sincerità» possano insegnarci
qualcosa di veramente importante e che noi difficilmente potremmo immaginare”.
Calvino – La meditazione sull’albero ha molti precedenti. I più
recenti e famosi, di Chateaubriand (“Memorie dell’oltretomba”) e Jean Paul
(“Titano”), tra gli altri. Ma quella di Calvino, “Il barone rampante”, è
diversa: interloquisce con i predecessori, che non nomina, nel senso di
diversificarsi. L’albero è oer il suo barone, per Calvino cioè, la rivendicazione
dell’autonomia dell’artista, fino all’isolamento. Una tentazione per una volta
non contrastata, ma in sé è una ribellione – alla famiglia e al ruolo familiare.
È anche il “rifiuto del lavoro” –
cui Calvino, come tutti quelli del “rifiuto del lavoro”, per senso di colpa e
per senso del dovere, si dedica con applicazione ed esclusivamente. Ma all’origine
e per tutto il racconto è un duello e una resa dei conti, affettuosa, con i
genitori.
La famiglia è il grande rimosso di
Calvino, che pure fu figlio di una coppia di scienziati, rimarchevole sotto
tutti gli aspetti, compresa l’avventurosità
- a Cuba e ritorno. Un padre anarchico e poi socialista, la madre libera
pensatrice, accesa interventista nel 1915. Due genitori ingombranti, seppure
condivisi col fratello minore Floriano – “la mia famiglia era piuttosto insolita”.
Impossibile che non sia stata (risentita)
castrante: due persone così indipendenti, di mentalità e di vita, per lo più
relegati nei loro gabinetti scientifici, non potevano essere genitori “dediti”,
soggetti ai figli.
Cicala – Scomparsa più rapidamente che la lucciola. O almeno si
nota di più, essendo rumorosa e diffusa. Magari non più numerosa, ma la
rumorosità la moltiplicava. Non rimpianta forse perché non aveva buona fama, a
partire dalal favolistica e da La Fontaine. Non in epoca borghese,
dell’accumulo, essendo divenuta sinonimo d prodigalità e incuranza. Esiodo si
diceva incantato del suo cicaleccio, ne “Le opere e i giorni”.
Gotico – Un’architettura agreste, boschiva. È l’immagine più ricorrente
del Duomo di Milano. Goethe giovane, in visita con Herder alla cattedrale di
Strasburgo, dice: “S’innalza come il più sublime albero di Dio, con le sue
vaste arcate, le sue migliaia di rami, i suoi milioni di rametti”.
Chateaubriand trent’anni dopo, nel “Genio del cristianesimo”, ripete più volte
l’immagine. Seppure non legandola al gotico: le foreste hanno suggerito le
prime idee di architettura, che per questo varia con i climi.
Proust – È religioso –
religioso “dall’esterno”. Jean Santeuil, in una delle sue passeggiate, scopre
un “altare rustico” tra gli alberi: sopra una specie di “retablo verticale…. un
lillà dispiega a ventaglio le sue tre branche”, evocando la Trinità. In “Swann”
il narratore se ne va ad assistere al “mese di Maria”. Di cui dice: “queste
sole vere feste che sono le feste religiose”.
Primo Levi, “Ranocchi sulla luna e
altri animali”, spiega la paura dei topi con “la giustificazione assurda e pittoresca
(anatomica…) che di questa fobia viene offerta dalla mitologia popolare: i topi
amano buchi, e se possono si infilano
nell’intestino e su per genitali
femminili”. Una mitologia che potrebbe spiegare i particolari crudeli dei gusti
sessuali di Proust che Jacques Émile Blanche testimonia – non si capisce come –
nel suo non benevolo “Portrait” scritto.
Celebra – vive? – l’erotismo di sostituzione. Il suo narratore è convenientemente
erotico ma, come già Jean Santeuil, pratica l’erotismo emotivo, con alberi,
fiori, fragranze, rimembranze, rimpianti, pulsioni inappagate, sia in “Swann”
che nelle due “Albertine”. Come di una lunga, insistita, ritenzione, nell’ottica
del Tao dell’amore.
Salice piangente – Altra
specie praticamente scomparsa, non solo in poesia, dove era di casa: se ne incontrano raramente e quasi solo in
campagna, per lo più trascurati. La passione per la seconda casa in campagna ha coinciso con il suo abbandono.
Era segno di lindore e proprietà della casa. E se non dava ombra la suggeriva, suggeriva la frescura. Perché nasce dall’acqua: la presenza del salice – come del noce - certifica(va) che l’acqua “c’è”. E suggerisce l’acqua, per la rugiada e la condensa copiose lungo il denso fogliame. Scomparso con l’acqua non più ben primario e scarso, quale per millenni è stata considerata? Perde la funzione “morale”, così come l’acqua diventa meno decisiva alla campagna, alle coltivazioni.
Era segno di lindore e proprietà della casa. E se non dava ombra la suggeriva, suggeriva la frescura. Perché nasce dall’acqua: la presenza del salice – come del noce - certifica(va) che l’acqua “c’è”. E suggerisce l’acqua, per la rugiada e la condensa copiose lungo il denso fogliame. Scomparso con l’acqua non più ben primario e scarso, quale per millenni è stata considerata? Perde la funzione “morale”, così come l’acqua diventa meno decisiva alla campagna, alle coltivazioni.
La poesia lo legava) ai cimiteri. “Albero caro della malinconia!”, lo
apostrofa Lamartine nel “Salice piangente”, poesia che avrebbe composto nel
1814 sotto appunto uno di questi alberi, al quale predice: “Un giorno anche
coprirai la mia tomba”. La tomba di
Musset al Père Lachaise, il cimitero artistico di Parigi, si adorna di un
salice piangente.
Il pepino del salice, secondo Plinio il Vecchio, provoca la sterilità
della donna. Nelle campagne era amato al contrario, sinonimo di fertilità –
legandosi all’acqua.
Stendhal – “La Certosa di
Parma” deriva, veloce come soleva nei suoi prestiti, da Jean-Pierre-Louis de
Fontanes, versificatore allora in auge, che aveva da poco pubblicato con
successo di lettori “La Certosa di Parigi”. Non un romanzo, quello di Fontanes,
ma un poema sui chiostri, e più una meditazione – Chateaubriand includerà il
poema, rimaneggiato, nel “Genio del cristianesimo”.
Tarzan – Era un aristocratico.
Ambientalista radicale, ma parte della rivoluzione conservatrice inglese. high tory, Jane è la bella aristocratica
che il primitivismo affascina. Ma Tarzan proviene anche lui da una famiglia aristocratica.
Qualche anno prima del Tarzan vero e proprio, di Edgar Rice Burroughs,
Jack London in “Prima di Adamo” aveva portato il suo eroe (bambino) tra il
popolo degli Alberi, a innamorarsi di una Veloce che anticipava Tarzan, sebbene
a sessi invertiti: agile e libera tra i rami della foresta.
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