Si può pensare al femminicidio indotto,
dalla protervia femminile? Primo Levi non lo dice, al suo tempo i sessi non
erano divisi, ma il lettore d’oggi ne trae l’impressione che il femminicidio
cristallizzi una frustrazione di lungo periodo, da selezione naturale. Tante
sono le specie su cui Levi si attarda di femmine che divorano i maschi una
volta fecondate: mantidi, api, ragni femmina, superlucciole. Finendo per far
dire all’ape regina, dall’alto della storia (“il nostro regime vive da
centocinquanta milioni di anni, e il vostro neanche da uno”): “Un maschio ogni
cinquanta femmine basterebbe in abbondanza” – per la riproduzione, mentre
“tutte quelle repliche” sono “tutte ore di lavoro perduto” - “e oltre tutto
risolvereste anche il problema della fame nel mondo”.
Fin da ragazzo la natura assorbiva la
curiosità di Primo Levi, nei mesi estivi in cui, “da cittadino”, ci si
immergeva. I girini. I grilli. E rimase il suo primo e più costante interesse
perfino nell’anno dell’internamento a Auschwitz. I racconti e gli elzeviri che
Ernesto Ferrero ha qui collazionato sono parte di raccolte già note, ma l’idea
di metterle insieme per affinità tematica non è superflua: dà probabilmente il
senso più vero della vita e del pensiero della vita in Primo Levi: uno
scienziato, un materialista. Quietamente, senza furori ateisti, e anzi con
qualche riferimento alla Provvidenza, seppure nel senso manzoniano, dell’ordine
delle cose, della selezione naturale.
Il titolo della raccolta è fiabesco, i
testi no. I racconti – sono raccontati anche gli elzeviri e le interviste
immaginarie - sono più spesso divagazioni. Apologhi più che racconti, anche se
senza la morale finale. Fantascientifici, ma più scientifici (chimici,
etologici, filosofici) che fantasiosi: di mondi possibili radicati
nell’evoluzione creatrice. Giocosi per lo più, quasi parodistici, e non
apocalittici. Vivono qui le piante, gli alberi, i fiori, i lemuri, gli invertebrati, i microrganismi,
le memorie sedimentate nei millenni, il dimorfismo sessuale. In generale,
l’eccezionalità e la diversità, prima dell’addomesticamento o appiattimento
nella cultura, nelle regole. Su un fondamento cioè di solida materia.
Ferrero ricorda che Massimo Mila propose
di definire Primo Levi, in morte, un umorista. Che forse è troppo: Levi non ha
il distacco dell’ironista, comunque amaro, ma la curiosità divertita – e
divertente – del materialista. La “volontà di vita” gli si presenta oscura ma
meravigliosa. Anche lui, come i suoi biologi di “Verso Occidente”, alla ricerca
dell’“ormone che inibisce il vuoto esistenziale”. Per l’antologia di testi
formativi cui Giulio Bollati lo incoraggiò nel 1981, poi raccolti in “La
ricerca delle radici”, Levi scelse come tema del primo raggruppamento “La
salvazione del riso”.
Mettendo tutte queste fantasie insieme,
Ferrero le ha sottratte all’etichetta di marginalia
sotto la quale sono state finora etichettate, volendosi Primo Levi un uomo e
uno scrittore pubblico e politico, della Resistenza e della Testimonianza
contro l’abiezione fascista e nazista. E ne ha inavvertitamente dato la
dimensione reale – ha dato i mattoni su cui rifare la costruzione. Che è sì di
testimone dello sterminio. Ma di suo è legato a un’ontologia elementare, nel senso
degli elementi. Nel lager alla
volontà di resistenza all’abominio, più che agli stenti. Nella sua vita, prima e dopo, alla meraviglia
della vita naturale. In cui la storia si mischia con la natura: elementi,
composti, fermentazioni, ibridazioni, scambi di energia, perfino di suoni, anzi
di tonalità dello stesso suono. Una passione solo temperata dal senso torinese
(piemontese) dell’equilibrio.
Primo Levi ha vissuto un materialismo
non dichiarato ma costante. Già nella sua vita precedente, di studente svagato,
ma anche dopo la morte e la resurrezione. Di un mondo che è così ma potrebbe
essere, è stato, sarà, in tante altre forme. E rifugge da Dio, poiché non
esiste - non ce n’è bisogno. La
Provvidenza ricorre come ragione del creato medesimo. È “incredibile la miopia”
dei nemici di Darwin in nome della ragione, sbotta nel testo che Ferreo appone
alla silloge: “Dall’opera di Darwin, che coincide con la sua stessa vita, spira
una religiosità profonda e seria, la
gioia sobria dell’uomo che dal groviglio estrae l’ordine, che si rallegra del
misterioso parallelismo fra la propria ragione e l’universo, e che
nell’universo vede un grande disegno”. Che di Darwiin può essere un ritratto di maniera, ma per lo scrittore è
sicuro modello.
Sorridente (scettico) in tutto, fuori
dalle certezze delle sue provette di chimico. Anche sulla non credenza:
“Qualche lettore si chiederà a cosa servono queste ricerche: un animo religioso
potrebbe rispondere che anche in una pulce si rispecchia l’armonia del creato;
uno spirito laico preferisce osservare che la domanda non è pertinente, e che
un mono in cui si studiassero solo le cose che servono sarebbe più triste, più
povero, e forse anche più violento del mondo che ci è toccato in sorte. In
sostanza, la seconda risposta non è molto diversa dalla prima”.
Completano la raccolta le poesie degli
animali. Di stile gozzaniano - anche Gozzano amava gli insetti.
I raccontini più arieggiati, nella forma
di interviste immaginarie con animali, sono della primavera del 1987, preludio
alla morte tragica.
Primo Levi, Ranocchi sulla luna e altri animali, Einaudi, pp. 220 € 19
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