domenica 31 maggio 2015

“L’islam non può esistere nel nostro mondo”

Poeta, storico, critico d’arte, direttore del centro nazionale del restauro, Brandi inaugurò nel 1958 la sua ultima e definitiva vocazione, di viaggiatore, che svetterà vent’anni dopo col capolavoro “Persia mirabilis”, con la ricerca dei luoghi romani nel Mediterraneo, in Libia e in Siria.
I giudizi svelti non mancano. Palmira, il cui destino oggi tiene in sospeso mezzo mondo, vede come un grande cimitero, opera di necrofori maneggioni, per le tombe che la caratterizzano, costruite in altezza: “La prima città con impresari di pompe funebri e speculatori che comparavano in blocco e vendevano a strozzo i loculi”. Amman come i Sassi di Matera. Le case di Damasco come i trulli di Martina Franca. La città vecchia di Gerusalemme, tuttora così densa di spiritualità, malgrado l’aggressione della speculazione urbana, come la città vecchia di Bari. E le strade in curva che portano a Betlemme come quelle tortuose della Calabria..
Ma la grazia non manca. Nel Libano fenicio, sulla strada per Damasco. Su Damasco, la madre della nostre (bibliche, mediterranee, europee, occidentali) città. E gli orti che la attornia(va)no, feraci e ridenti, come usava dire, la cornucopia della buona terra – qui il paragone è appropriato: col casertano allora terra di lavoro e non di camorra. Ma più lo stimola Tripoli, l’ex “bel suol d’amore”. Ancora quella di Italo Balbo, con la piazza omonima sul mare, e i portici padani per lo struscio all’ombra. La città severiana di Leptis Magna, non lontano da Tripoli, di fascino esagerato. Senza confronto, per estensione e conservazione, con Ostia Antica e con la stessa Pompei.  Che con Sabratha, alla frontiera con la Tunisia, che conserva un’impressionante latrina pubblica, e una basilica tardoromana, giustinianea, arricchita da un elaboratisissimo mosaico pavimentale, e altri siti marittimi lungo la costa dell’Atlante, Cartagine, Cherchell (Cesarea), Tanit e altri in Algeria, teneva, e tiene,  viva la romanità come fosse ieri.
Pur non diffidando allora dell’islam, Brandi ne avverte chiara la natura – non era difficile, era prima dell’equivoco dialogo tra le fedi: “L’Islam non può esistere nel nostro mondo se non assorbendolo o distruggendolo: nulla ha da sostituire, nulla ha da imprestare se non una forma acaica della sacralità”.
Cesare Brandi, Città del deserto, Elliot, pp. 175 € 17,50

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