Una ricostruzione amorevole dei
weilianai Canciani e Vito, che accompagnano con analisi, ricostruzioni e riferimenti
le lettere ai familiari e all’amico Posternak di Simone nel corso dei due
viaggi di svago, quattro mesi in tutto, che fece in Italia nel 1937 e nel 1938.
Gli “anni del consenso” mussoliniano, che non la spaventano. A Milano, Firenze,
Roma, i luoghi francescani, e Venezia.
“Venezia salva” sarà il suo unico esperimento
teatrale, rimasto frammentario. Il dramma del giusto che salva la città dalla
distruzione cui la destinano i compagni, che progettano d’impadronirsene solo a
quel fine. Una dramma storico, sulla famigerata congiura spagnola del 1618, e
un apologo. Venezia è anche la civica umana
- “una città perfetta, che sta per essere piombata nel sogno orrendo della
forza”.
Nulla di eccezionale. Ma una lettura per
più aspetti grata. Nei viaggi Simone Weil coagula alcune intuizioni di cui poi
farà tesoro. L’idea della forza come chiave di lettura dell’“Iliade”. La bellezza
mediatrice del divino. Le radici greche della civiltà cristiana. La stessa sua
meraviglia è gradevole.
Per i monumenti, ma soprattutto, a Roma,
per i cori e le messe, pomeridiane e serali, in gregoriano, e per i concerti.
Gli stessi interessi e le stesse
meraviglie, cinquant’anni prima, di Vernon Lee, altro animo virginale, sebbene
non filosofico. Alla stessa età, più o meno. Perfino con le stesse prole – “Firenze
è la mia città. Di sicuro ho vissuto una vita precedente tra i suoi uliveti”.
Solo che la giovane inglese era amazzone in bicicletta. Un accostamento che non
c’entra nulla, ma identico è l’animo sgombro.
Simone Weil (a cura di D.Canciani e
M.A.Vito), Viaggio in Italia,
Castelvecchi pp. 121 € 16,50
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