Doveva
finire 7-0, finirà 4-3, e non sarà una vittoria ma una sconfitta (potrà pure finire
4-4, bisogna vedere quanto è duro ancora lo zoccolo ex Pci in Umbria). All’improvviso
è frana, e proprio sul punto considerato più solido, il piedistallo di Renzi:
sondaggi in calo, campagne elettorali di cui i media hanno problemi a celare le
vergogne, in una settimana o poco più il colosso sembra sgretolato.
Ai primi ostacoli, la scuola e le pensioni, lo stesso Renzi si mostra imbizzarrito. A
suo agio nelle beghe di partito, recalcitra
davanti ai problemi quando si pongono. Nella
conferenza stampa sulle pensioni sembrava perfino avere perso l’uso della lingua
- “ricche” le pensioni da tremila euro lordi, “dare” 4-500 euro una tantum
quando ne toglie tremila, più l’aggiornamento mensile, quel “togliere ai ricchi
per dare ai poveri” a cui nessun povero ha mai creduto, giustamente, e il “non
metteremo le mani nelle tasche degli italiani” quando tutti si stanno facendo i
conti degli aumenti comunali e regionali. Le elezioni cadono in un brutto
momento, tra 730, Imu, Tasi, Tari, e ticket a gogò.
Può sempre
finire 7-1, ma in discesa, per l’assenteismo, che peserà più sulla destra che
sul Pd. E con percentuali che faranno vergogna all’Italicum, di meno cioè del 40
per cento. La destra è divisa e
litigiosa, e i sistemi elettorali delle sette regioni sono maggioritari e anzi plebiscitari:
vince chi prende più voti, anche se pochi. Non ci sono percentuali minime, e non
si fanno ballottaggi – eccetto che in
Toscana, dove però il voto è sempre compatto, da qualche decennio a sinistra. E tuttavia il Pd rischia di non farcela, là dove, fuori
da Umbria, Toscana e Marche, lo zoccolo ex Pci non c’è o si è dissolto. Nella
dissoluzione del centro-destra, è il Pd che fa e disfa, e cioè Renzi. A favore
dell’astensione, e del voto ancora di protesta, ora per Salvini oltre che per
Grillo.
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