La malattia, gli affetti familiari, la
vita semplice, tutto sotto tono, Moretti ritorna a “Caro diario” – la regia è
nevrotica, l’attore incapace, l’altro da sé, e la politica assente. Nella
chiave agrodolce sua propria, dell’ironia benevola. Questa volta anzi Moretti
fa i conti con se stesso, dopo essersi negato una vita. Sì la nutella, sì il maestrino di scuola, sì l’uomo
d’ordine, con gli amici, i familiari e la vita, ma giusto per non farsi male.
Ora si prende di petto, sotto l’immagine gradevole di Margherita Buy, ma è già
un passo. Che il pubblico a Cannes ha apprezzato, una platea non mammista: forse anche la mamma morente, e poi morta, ma più il
suo egotelling, torna ad affascinare.
C’è voluta però una seconda visione, a distanza
di tempo, per la critica per ricredersi. Per la critica italiana. Mentre il
pubblico non si è ricreduto: “Mia madre” è uscito di programmazione presto,
malgrado il lancio in 500 copie (un cinepanettone
esce in 250 copie, un blockbuster Usa in 300 ), e Cannes non lo
rianima – il cinema di Moretti a Roma, “Nuovo Sacher”, non registra
più di un paio di dozzine di spettatori per le quattro proiezioni quotidiane, tutti della sua età e più. E il perché è forse quello che Moretti stesso ha detto al festival:
“In Francia mi giudicano per i miei film, non per le mie posizioni politiche”.
In Italia, voleva dire, mi giudicano per la politica. Una disaffezione già
forte per lo straordinario “Habemus
papam”, che si ripete con questo “Mia madre”. Che invece è fatto, anche come
tema, la malattia e la morte della mamma, per il grande pubblico. È possibile
che la sua politica, quella del “paese di merda”, gli abbia alienato in Italia il
pubblico, il suo pubblico oltre quello caimanesco. Troppo odio, sotto i
buoni sentimenti.
Nanni Moretti, Mia madre
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