Un bellissimo libro, pieno di foto
significative di Wittgenstein negli anni viennesi, da marinaretto a giovanotto
impomatato incravattato. Dell’alto, elegante, bello, avventuroso padre Karl,
finito mecenate delle arti. Della sorella amatissima Margaret sposata
Stonborough. Per la quale progettò e realizzò una villa iperrazionalista a
Vienna, nella Kundmanngasse. Con pignoleria – l’altra sorella amatissima,
Hermine, ricorderà: “Mi sembra di sentire ancora il fabbro che gli chiede: «Mi
dica, signor ingegnere, è molto importante per lei un millimetro? », e ancora
prima che abbia finito di parlare Ludwig che gli risponde un «si» così sonoro
ed energico che quello quasi si
spaventa”. Della casa sullo strapiombo che si costruì manualmente sul lago
vicino a Sogenfjord in Norvegia. Degli innumerevoli marchingegni meccanici
elaborati leonardescamente, come esercizio di fantasia e a uso dei bambini di
scuola quando decise di farsi maestro elementare.
Un omaggio, ma con una lettura erta. Lo
studioso olandese, specialista di psicologia cognitiva, da decenni impegnato su
Wittgenstein, propone di legare l’iperrazionalismo della Kundmangasse con la
filosofia di Wittgenstein. Non tanto col “Trattato” quanto con le “Ricerche
filosofiche”, con la non univocità dei linguaggi. Assunto arduo, anche se la
grande costruzione gliene offre più appigli, affascinanti.
Wittgenstein seguiva Looos. Ma Loos era apodittico
nel rifiuto dell’ornamento, dell’abbellimento. Wittgenstein pure, ma senza
semplificare: era anzi attento ai particolari minimi, effetti di luce e di
cromie, comodità di uso e agibilità. Di ogni dettaglio – di ogni “parola” – “minuziosamente
configurato”, facendo un’“individualità” che si ricompone nell’insieme. La casa
come una frase, insomma, un’opera, un mondo. “Nel silenzio della villa approdando
nuovamente alla imperturbabilità del classico” – in architettura, e in
filosofia?.
Paul Wijdeveld, Ludwig Wittgenstein
architetto, Electa, remainders, pp. 184, ill. € 19
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