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martedì 30 giugno 2015

Il mondo com 'è (221)

astolfo

Corruzione – Può essere buona, produttiva. A Città del Messico e al Cairo, pagato il dovuto di quei corrottissimi paesi, i 30 km. della Civitavecchia Nord-Tarquinia, tutti in piano, sarebbe stati approntati in trenta mesi, anche venti con un premio, mentre in Italia, dopo cinque anni, niente si vede. Succedeva a Palermo negli anni dei Ciancimino e Lima, i politici che mantenevano le promesse: la città costruiva, si allargava, patrimoni si accumulavano, e c’era perfino l’acqua.  O in Grecia nelle grandi opere degli anni socialisti, quando il debito si moltiplicò. Uno passava a Ioannina vent’anni fa, città chiusa dalle montagne e reclusa nel suo passato, coi nidi della cicogne sui pali della luce, e l’anno dopo la trovava un’altra, con viali, giardini, luci, edifici pubblici, una piccola capitale.

Non c’è paragone con l’Italia, dove la corruzione è fine a se stessa. Le opere per l’Olimpiade del 2000, che avrebbero indebitato disastrosamente la Grecia, sono state e restano un capolavoro. La metropolitana di Atene è accessibile, le scale mobili funzionano, ariosa e aerata, non claustrofobica, rapida, pulita, con stazioni bene intrattenute e affidabili, non paurose. Nessun paragone con quella di Roma o di Milano, che pure sono costate molto di più del necessario. 
La corruzione vera, o allora doppia, corruzione-corruzione, è quella interessata solo alla corruzione. È il caso delle opere pubbliche in Italia. Poche vanno avanti, cioè si realizzano. Tra esse paradossalmente la più importante e progredita è la Salerno-Reggio Calabria. La Civitavecchia-Livorno è invece un cantiere dell’intrallazzo: varata quattro (o cinque) volte in quarant’anni, ma solo per lucrare sull’offerta, i rinvii, le disdette, le penali, tra consulenti, periti, giudici amministrativi sempre integerrimi, e arbitri pieni di titoli.

Laurea – Fu snobbata da molta filologia nell’Ottocento, da D’Ancona a Croce, anche da cultori della materia che poi saranno cattedratici, intenti a dispensare lauree. È soprattutto titolo – per i concorsi, per lo Stato.

Lega – Ha svuotato il carattere della peculiarità o specificità, della “differenza”, nel mentre che lo afferma e se ne vuole la difesa: sminuendolo, limitandolo, al fondo autopunitivo. Arcigno e isolante. E non protettivo: in quanto concorrenziale, ha sempre qualcuno che è “più” - più nordico, ricco, insolente. Specie rispetto ai modelli che propone. Che devono rivoltarlesi contro, inevitabilmente, essendo la comparazione competitiva.
Così la Germania, per un esempio dall’alto. O gli immigrati, per uno dal basso: quelli interni, quelli extracomunitari poi, e ora quelli extraeuropei. Di cui i leghisti hanno bisogno, come badanti, aiuto domestico, braccianti, manovali, e che in certo modo beneficiano, ma da cui saranno inevitabilmente antagonizzati.

Moro-Andreotti 3 - Pasolini vedeva Andreotti “intriso di un cereo sorriso di astuzia terribilmente insicura e ormai timida senza riparo”. Esiste un’astuzia sicura?
A ottobre 1974 Andreotti fa un golpe politico, tutto da solo: abbatte il governo Rumor di cui è un pilastro,  denuncia tre complotti, e arresta Miceli, capo dei servizi segreti, uomo di Moro. I suoi amici democristiani alzano barricate contro il suo ritorno a capo del governo: dapprima con Fanfani, per prendere fiato, poi hanno Moro di riserva. Ma l’onorevole Andreotti va come un treno: ha fatto arrestare Curcio e gli altri capi brigatisti - i carabinieri obbediscono, se il morso è teso – immemore del pontiere Taviani e del terrorismo che è di destra, il Pci portandosi ai piedi.
I tre golpe li ha denunciati il tre ottobre, direttamente in Procura, come ogni cittadino visitato dai ladri. Un’iniziativa personale e urgente, per l’ansia di salvare la libertà, senza consultarsi col capo del suo governo, l’onorevole è un duro. E il governo si è dimesso, subito. Sublime Dc: denuncia golpe di destra, ma dentro manda Miceli, il generale dell’onorevole Moro. “In generale l’astinenza sessuale non giova a formare uomini d’azione energici né pensatori originali o anche libertari o riformatori, ma deboli dabbene”: Freud toppava anche qui, ma si può scusarlo, non poteva sapere degli uomini d’azione democristiani, conducono essi le truppe uscendo dalla sacrestia e non dall’alcova. L’eroe Dc è uno che vince negandosi.
Non é facile arrestare Miceli, intimo dell’ambasciatore Usa Martin, che da Roma è andato a Saigon, e di James Angleton, specialista italiano della Cia e uomo di fiducia del Mossad israeliano. Andreotti ha annunciato la denuncia il 28 settembre, mentre il presidente Leone e il ministro degli Esteri Moro erano negli Usa. Miceli era andato all’ambasciata, prima della loro partenza, per dire al successore di Martin, John Volpe, che non era il caso di puntare su Andreotti per il nuovo governo. Bene, ora gli americani sanno chi comanda in Italia. È così che Leone e Moro non hanno convinto Ford, cioè Kissinger.
L’Italia è stata prima invitata poi esclusa dal vertice sul dollaro dei grandi dell’Occidente a Camp David. Il presidente Ford e il segretario di Stato Kissinger ne avevano già discusso, del problema sollevato da Miceli, riservatamente coi membri più influenti del Congresso. “Non vorrei biasimarmi d’aver fatto troppo poco per salvare l’Italia”, Kissinger ha detto loro. Il professore è, è stato, un intellettuale liberale, in contatto con Alvaro, Moravia, Enriques Agnoletti. Moro ha troncato la visita, Leone è stato fotografato a fare le corna.
Volpe vuole esclusi dal governo pure i socialisti. Che già si erano esclusi: l’1 ottobre l’onorevole Tanassi, per conto dei socialisti di destra, aveva dichiarato il centrosinistra finito. D’accordo l’onorevole De Martino, per i socialisti di sinistra. E insieme chiedono elezioni subito. Per fare il compromesso? De Martino è consigliato da una Margherita, che viene dal Pci praticando l’entrismo e collaborava con i servizi segreti – ma con Miceli o con Maletti?
Non c’è tempo di rifiatare. A metà mese Kissinger lascia Delhi per Roma, per l’assemblea della Fao, premettendo non richiesto: “Non chiedetemi della politica italiana, non la capisco”. Moro snobba il primo incontro fra Kissinger e Leone a Roma. Al secondo evita di stringere la mano al segretario di Stato, e fa dire: “Esistono interessi che si traducono in pressioni, ma è compito del ministro degli Esteri opporsi alle pressioni illecite e respingere le interferenze: un’area di libertà si conquista puntigliosamente, vigilando”. Una dichiarazione di guerra.
Moro pareva un pappamolla e invece era un incondizionale. A questo non si è riflettuto. Fu sempre fedele all’America, che nel 1964 lo salvò dal golpe di Segni. Fu il più fedele di tutti nella guerra del Vietnam. E non ha mai fatto accordi con nessuno – cordate, alternanze. Ma l’America di Kissinger non lo ha ritenuto affidabile per un governo con il Pci, preferendogli Andreotti. Nasce allora la guerra totale tra Moro e Andreotti.
Ma si può dire anche che i due si somigliano, anzi in realtà sono uguali. Per la comune esperienza nella Fuci di Paolo VI, la federazione degli universitari cattolici, per il carattere diffidente e chiuso. Per questo nemici spietati, è la concorrenza: l’uguale è il nemico. Non per fare questo o quello, per loro era indifferente, il governo era per loro il potere. Il potere per grazia di Dio, non un dovere. Entrambi brevi, il Tiberio che Tacito inventò, dal linguaggio svelto benché oscuro. Ma anche politici alla Henri Queuille, quello del “non c’è problema, per quanto urgente, che in assenza d’una decisione non si risolva” - che de Gaulle aveva spazzato con un soffio, con tutti i radicalsocialisti.
Nello sparigliamento in un primo momento Moro prevale. Viene ordinata la cattura di Sindona e del suo aiutante Bordoni per bancarotta fraudolenta alla veneranda Banca Privata italiana, e quindi Andreotti non ce la può fare: ha incontrato più volte Sindona per fantomatici progetti di salvataggio della lira, e il generale Miceli li ha implacabile registrati. Bordoni è un ex della Banque pour le Commerce Suisse-Israélien. Il governatore Carli, che si immaginava ministro del Tesoro del compromesso storico di Andreotti, deve invece lasciare anche la Banca d’Italia: a Sindona ha fatto prestare 124 preziosi milioni di dollari dal Banco di Roma, un istituto pubblico gestito dal fido Ventriglia.
Fanfani tenta d’intromettersi, il colpo di coda dopo la débâcle del divorzio. Ma altrettanto avventatamente tenta il recupero del Vaticano, in guerra aperta alla Fuci, la gioventù universitaria cara al papa, tra Andreotti e Moro. Paolo VI è ovviamente fermo coi suoi pupili.
Il resto è storia – cioè ancora cronaca, la storia non si fa.

Mussolini – Flessibile, si direbbe, e anzi volubile, non l’uomo tutto d’un pezzo quale si configura il dittatore. Insicuro anche. Nel passaggio all’interventismo e l’abbandono del socialismo, dopo una giovinezza ribelle. Nell’isolamento costante per tutta la sua vita pubblica: non solo in famiglia e nei rapporti umani, ma anche tra i sodali e al governo. Sempre malfidato. In diplomazia opportunista senza mai una regola, nelle trattative internazionali. Per instabilità caratteriale o incapacità (incertezza, timidezza, riservatezza)? Sicuramente sì nella parte iniziale e al finale della sua avventura: l’interventismo, tanto più se finanziato dalla Francia, e la non richiesta sottomissione a Hitler che fu l’adozione delle leggi antiebraiche e della razza pura.
A Hitler che invece aveva una sudditanza psicologica verso l’immagine di Mussolini. Dell’arte e la propaganda fascista dell’uomo forte.  Ma di suo era più forte (monolitico, deciso). Al punto da lavorare sempre “in gruppo”, con collaboratori a loro modo capaci.

Padroncino – Facendo i lavori di ristrutturazione in economia, si ha a che fare sempre con coppie. Uno decide (contratta, propone, definisce il lavoro) e l’altro esegue. Coppie a piramide.
Si parte dall’alto con l’impresario. Che definisce il lavoro ma non lo esegue: non ha un’impresa, è un organizzatore del lavoro, e il contraente: si contrattano con lui i costi, una specie di capitolato, si stabiliscono i tempi, di cui sarà il referente, e se ne avranno le fatture. Il lavoro lo fa il suo subordinato, nel senso che lo suddivide fra vari specialisti, il muratore, il parchettista, l’imbianchino, l’idraulico,eccetera. Ciascuno dei quali si presenterà al lavoro per la parte di sua competenza sempre in coppia, l’esecuzione lasciando al secondo.
È l’economia dei servizi? Per ogni singolo lavoro c’è uno specialista, che a sua volta si avvale di aiuti? È tutto il contrario dell’economia di mercato, poiché non semplifica il lavoro e non ne riduce il costo ma lo moltiplica, lo complica, e lo rincara. È il principio dell’imprenditorialità, cominciare con un subordinato? Ma quanto spreco. 
È l’origine del caro-ristrutturazioni – e in genere dei lavori in economia (dal meccanico, dal falegname, eccetera). Se il mercato è invece il “decentramento”, nel senso del rifiuto del lavoro, ecco l’origine del caro-lavoro. Un lavoro si moltiplica per quattro o per cinque. Sarà un aiuto contro la disoccupazione, ma insieme anche una moltiplica, poiché si faranno sempre meno lavori, solo se indispensabili.

astolfo@antiit.eu


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