Oggi Kepel non ci porrebbe quel sottotitolo.
Dell’ascesa, invece, questa sua è con ogni evidenza la più corretta
presentazione. Una storia del fondamentalismo islamico. Che nasce in ambito
occidentale, una delle tante dighe antisovietiche. Coi petrodollari, a partire
dal 1973. Da cui i potentati della penisola arabica furono letteralmente sommersi
– per anni non riuscirono a spenderli, neanche in minima parte.
Da qui, da questa rendita abnorme, la
loro poi rapida ascesa alla “posizione dominante” nel mondo islamico, specie in
Africa, a Nord e a Sud del Sahara, di cui interruppero la modernizzazione. La
accentuarono sul piano materiale, la limitarono e soppressero su quello civile,
dei diritti umani e della convivenza, tra uomini e donne, tra diverse religioni,
tra diverse confessioni della stessa religione, l’islam. Con la modernizzazione
accelerata dell’edilizia, della banca, delle comunicazioni, della spesa
suntuaria. Sotto forma di beneficenza – “un immenso impero di beneficenza”: tra
madrasse e campi di polo, per aggiogare le borghesie arriviste e i poveri senza
parola. Poche le resistenze: in Libia con Gheddafi, in Egitto con Mubarak,
entrambi poi eliminati, sempre in un’ottica filo-occidentale, e in Algeria.
Ai petrodollari bisogna aggiungere negli
stessi anni il Pakistan del generale Zial ul Haq, golpista filo-occidentale contro
la casta politica dei Bhutto, socialisteggianti e neutralisti. E il
khomeinismo. Sì, quello propriamente inteso, dell’Iran, usa il fondamentalismo
nel quadro di una strategia politica di tipo realistico.
Gilles Kepel, Jihad. Ascesa e declino, Carocci, pp. 436 € 17,50
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