lunedì 8 giugno 2015

La guerra santa dei petrodollari

Oggi Kepel non ci porrebbe quel sottotitolo. Dell’ascesa, invece, questa sua è con ogni evidenza la più corretta presentazione. Una storia del fondamentalismo islamico. Che nasce in ambito occidentale, una delle tante dighe antisovietiche. Coi petrodollari, a partire dal 1973. Da cui i potentati della penisola arabica furono letteralmente sommersi – per anni non riuscirono a spenderli, neanche in minima parte.
Da qui, da questa rendita abnorme, la loro poi rapida ascesa alla “posizione dominante” nel mondo islamico, specie in Africa, a Nord e a Sud del Sahara, di cui interruppero la modernizzazione. La accentuarono sul piano materiale, la limitarono e soppressero su quello civile, dei diritti umani e della convivenza, tra uomini e donne, tra diverse religioni, tra diverse confessioni della stessa religione, l’islam. Con la modernizzazione accelerata dell’edilizia, della banca, delle comunicazioni, della spesa suntuaria. Sotto forma di beneficenza – “un immenso impero di beneficenza”: tra madrasse e campi di polo, per aggiogare le borghesie arriviste e i poveri senza parola. Poche le resistenze: in Libia con Gheddafi, in Egitto con Mubarak, entrambi poi eliminati, sempre in un’ottica filo-occidentale, e in Algeria.
Ai petrodollari bisogna aggiungere negli stessi anni il Pakistan del generale Zial ul Haq, golpista filo-occidentale contro la casta politica dei Bhutto, socialisteggianti e neutralisti. E il khomeinismo. Sì, quello propriamente inteso, dell’Iran, usa il fondamentalismo nel quadro di una strategia politica di tipo realistico.
Gilles Kepel, Jihad. Ascesa e declino, Carocci, pp. 436 € 17,50

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