mercoledì 17 giugno 2015

La sensualità della colpa

Nicola Crocetti riunisce, in originale e in traduzione, le edizioni di Kavafis che negli anni è andato collazionando per la sua casa editrice. Un poeta “alessandrino” di Alessandria d’Egitto, immerso nel mito e nella memoria. Si dice la storia, ma è la memoria, vaga, immemore al tempo, alle persone e alla natura, che i fiori vuole finti - “Datemi fiori finti”. Anche quando la storia evoca, non sa che farsene. Un greco senza patria. Tra fine Ottocento e primo Novecento, costeggiando in città Marinetti e Ungaretti, ma parnassiano, si direbbe in gergo europeo.
È la stessa antologia, più curata, pubblicata tre anni fa dal “Corriere della sera”. “La memoria e la passione” era il titolo di quella raccolta, e questo Kavafis è. La storia è Itaca, l’insofferenza del ritorno. E nostalgia, allora come oggi. È l’amore, anonimo per lo più, e di sesso, benché di occasioni sfumate o passate. Dell’amore che non si dice(va), vissuto come colpa, la foja insaziata imputandosi a peccato:  “Giura”, il poeta irride al suo sé, e poi, “quando giunge la notte col suo potere\ del corpo che desidera e reclama, fa ritorno,\ smarrito, a quel predestinato suo piacere”.
La sensualità è come la città, di confluenze ormai remote: la “pelle come di gelsomino fatta”, la promessa di uno sguardo rubato, il rimpianto di un incontro evitato, e di tutto il “ricordo appena” degli occhi - “Erano azzurri, credo…,\ Ah sì, azzurri, uno zaffiro azzurro”.
Curiosamente amato da Montale, che ne tradusse (dall’inglese?) “Aspettando i barbari”, forse per l’assunto più che per la poesia. Del poeta sperduto-stordito nella storia: la poesia è l’attesa di una palingenesi che naturalmente non arriverà nemmeno con i barbari, il languore di un’eterna fine.
Costantino Kavafis, Le poesie, Einaudi, pp. 320 € 14

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