Un paio di eleganti scarpette variegate
(di pelle vaïr), in dono a una
ragazza di paese a Vaucluse, la fantasia di una vecchiaia con gli amici di
gioventù, Vaucluse come luogo della solitudine, il cagnolino Zabot, “trottola”,
un anticipo della tardo novecentesca “morte dell’autore”. Un libriccino di una
dozzina di epigrammi slegati, incredibilmente attraente, per più motivi. E non c’è pure Mafia Capitale? Il testo titolato
“Un nemico pubblico” è attorno a un innominato ma romano eponimo, detto in chiosa
“praepotens sed perniciosus”.
I brevi componimenti latini qui tradotti
sono sparsi per i vari codici, nella varie opere e nelle lettere, rapidi e non
riscritti, sebbene sempre finitissimi e in punta di penna, a margine di una
riflessione, opera di distrazione. Circa 800 di questi versi sono stati contati. Niente in sé, e tuttavia danno un altro Petrarca.
Un’altra persona e un altro poeta. Non programmatico, non teorico. Anche per
l’aiuto di Francisco Rico, il filologo
spagnolo autore de “Il sogno dell’umanesimo”, e di Boccaccio e Petrarca “Ritratti
allo specchio”.
Rico ha avuto l’idea della breve
silloge, ed è l’autore della scelta. Che presenta con note sbrigliate ai
singoli componimenti, ricostruzioni finissime dei contesti, e due brevi saggi.
Uno sulle ambizioni di autonomia che l’intellettuale Petrarca non ha mai smesso
di coltivare, tra tante difficoltà, ad Avignone, a Napoli, a Pisa, a Parma, a Padova,
a Milano, proponendosi a questo o quel regno, principato o repubblica. Di lasciare
il servizio della famiglia prelatizia dei Colonna, per quanto benevola, e
accudire alla letteratura. Mentre divisa l’opus magnum, il grande poema epico che
non scriverà. E uno, estremamente denso, sul petrarchismo. Partendo dal
concetto medievale di expolitio, l’artificio
retorico di “tirare a lucido” la stessa cosa. Ciò si faceva, dice Rico con Geoffrey
de Vinsuf, “Poetria Nova”, “per due vie: dicendo la stessa cosa in vari modi, o
dicendo avari modi della stesa cosa”. In queste istantanee è diverso.
Il componimento che Rico intitola “Gabbiani”,
sull’amicizia con Ludovico di Beringen, musicista fiammingo, e sull’amore,
sottinteso di Laura, ribalta il “Canzoniere”: “La Laura del «Canzoniere» è un a
belle dame praticamente sans merci, inaccessibile e schiva. Qui
gi inidizi dicono putosto che lei corrisponda all’amore del poeta… Non siamo di
fronte allo stesso mondo e alla stessa Laura”.
Francesco Petrarca, Gabbiani, Adelphi, remainders, pp. 101 € 1,92
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