“Sono
quasi cinquant’anni dacché fra noi si agitò la questione se Dante avesse tolta
la materia del suo poema da una Visione,
quella di Frate Alberico, che venne
disseppellita dagli archivj del cenobio cassinese”. Cinquant’anni nel 1874. La
questione delle “origini” della “Divina Commedia” non è nuova, e non è seria - “è
assai dubbio se cotesta narrazione varcasse mai la soglia della badia
benedettina, ove poi è quasi certo che Dante non ponesse mai il piede”, la
narrazione di una visione che Alberico ebbe quando “fu rapito in estasi essendo
fanciullo di dieci anni”. La filologia vuole anche divertirsi.
Diverso è
il caso quando non si vuole che Dante abbia copiato. Le “Visioni” dell’aldilà
furono pratica costante nel millennio fino a Dante. Dante ne cita solo due,
quella virgiiliana di Enea, e quella di san Paolo nella “Lettera ai Corinti”. D’Ancona,
in questo breve scritto (una conferenza tenuta il 18 maggio 1874 al Circolo
Filologico di Firenze) ne rintraccia un’infinità, praticamente in ogni convento
se ne celebrava qualcuna. E sa anche sistemarle: le contemplative, le politiche
e le poetiche. Con propensione marcata per le narrazioni irlandesi (il “Viaggio
di san Brendano”, il “Viaggio di Tundalo”, il “Purgatorio di san Patrizio”),
non essendosi ancora posta la questione islamica – ma, inavvertitamente,
neanche questa futura pista D’Ancona si preclude: a proposito del ponte
sull’aldilà, “sottile come un capello”, lo trova “dapprima mentovato nelle
tradizioni persiane, donde passò ai credenti di Maometto”, prima di approdare
“nella letteratura cristiana”.
Un
excursus molto dotto sull’ovvio: “Tutte le notate visioni sono anelli di una
gran catena che risale a tempi antichissimi; e, fors’anche, Dante poté ignorare
alcuno di questi non sapidi frutti della letteratura claustrale; ma ben
conosceva egli, senz’altro” quello che tutti conoscevano. Le visioni sono d’ogni
tipo.. Anche di francescani contro i domenicani. Di anonimi monaci contro il
“signore d’Italia” Teodorico, “re barbaro e eretico seguace di Ario”. Del re
santo Gontrano contro il fratello Chilperico I, infine bollito vivo - molte di
queste visioni non saranno all’“origine” di Shakespeare, la questione non andrebbe posta? Del vescovo
Incmaro contro Carlo il Calvo. Andando indietro fino a Lotario, Carlo Magno,
Carlo Martello. Carlo Magno “è veduto nel purgatorio, ove sconta la sua
scostumatezza”, ma, annota D’Ancona, “il modo della punizione è tale che non lo
riferiremo”, e quindi molto resta ancora da dire.
Ce ne
sono anche di giocose e satiriche. Nelle quali eccelse “la famiglia dei
Troveri, dei Giullari e dei Menestrelli”, coi “favolelli”. Sollazzi che si
celebrarono pure a Firenze, attorno al 1300, specie al Borgo San Frediano e al
Ponte alla Carraia. Ma qui siamo tra i precursori “di Rabelais, di Voltaire, di
Parny”
Il
viaggio nell’aldilà come genere, dunque, millenario, le”Visioni”. Per non dire
delle “discese al Tartaro e agli Elisi attraverso gli scrittori pagani”. Tutto
è stato già scritto, come no. E allora? La stessa ricerca delle fonti può
essere ripetitiva e inutile, oppure no.
Alessandro
D’Ancona, I precursori di Dante,
Luni, pp. 128 € 18
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