Agiografia – È in auge a Milano e dintorni, nella tradizione
ambrosiana?, ora che arrivano sconosciuti asiatici subito classificati califfi
e miliardari. Il Mr Bee di Berlusconi ne è il prototipo, che pure meglio
avrebbe risposto all’eulogia del self-made
man. Ma lo si vuole di ogni virtù, il “Corriere della sera” non lesina
nessuno degli ingredienti dell’agiografia: i nobili lombi, la vocazione
precoce, e se non lo Spirito Santo dollari in quantità, incalcolabili. “La
Repubblica” è guardinga – De Benedetti sa di che si tratta – e definise Mr B,
come viene chiamato in Thailandia, “fantomatico”, Ma, poi, anche su
“Repubblica” Mr B è di ogni virtù: “Dai pedaggi autostradali alle card per il
trasporto pubblico, dal settore immobiliare all’organizzazione di eventi
sportivi, il broker thailandese mostra di non disdegnare nulla quando si tratta
di far soldi: è per questo che investitori di tutto il mondo si affidano a lui
e alla sua rete di conoscenze”. Non nobili ma ricchi i genitori, anche se sono
emigrati dalla Cina in Australia in cerca di fortuna. L’agiografia vuole il
santo precoce, e Mr B, come lo chiamano in Thailandia, lo è: faceva affari già
al liceo. Etc., senza ironia. Anche quando eccede nel name-dropping, in cui gli affaristi devono eccellere. Con Enzo
Currò di “Repubblica” Mr B spende parecchi nomi –“Del Milan ho parlato con Rotschild,
e il contatto con Berlusconi si è creato”.
Come tutti i
santi, anche Mr B. è naturalmente un filantropo: “Mr.Bee è molto impegnato”, sempre
da “Repubblica”, “nelle attività benefiche: il broker thailandese riveste il
ruolo di Ambasciatore Globale per la Fondazione Nourafchan, fondata da Rafael
Nourafchan, il cui presidente onorario è lo sceicco Nahayan Mubarak Al Nahayan.
La fondazione si propone di promuovere “la salute, la felicità, l’istruzione,
la gentilezza e la virtù”, “senza distinzioni di colore, razza, religione e
genere”. – questo forse è un comunicato stampa, che il giornale ex di Scalfari
ripropone tal quale, per economia di attenzione, ma di un santino alla fine troppo
agiografico. Chi saranno Narafchan e Al Narayan?
Mr B. ricalca Erick Thohir, l’altro
“magnate” asiatico di Milano, questo dell’Inter. Che ha investito nell’Inter
per trarne un alto rendimento, l’8-9 per cento l’anno. Thohir fa da
intemerdiario bancario per il club, con un spread netto del 6 per cento. Ma l’Inter,
gli interisti e Milano pendono dai suoi silenzi – Thohir a differenza del
ciarliero Mr B, è taciturno.
Amore - È stato a lungo tema principe del canto popolare. Come
prolungamento di una tradizione. Ma anche come sostrato sociale (pubblico):
tema di riconoscimento fra letterati, e collante collettivo (anonimo) senza
controindicazioni o rivalse. Poi, nell’ultimo secolo, è svanito. Altri veleni
lo hanno soppiantato: la patria, la classe, gli affari, la corruzione.
Autore – Decretato morto , annegato nell’indistinto linguistico –
la letteratura è parole – si reincarna a fini commerciali: è autore chi vende.
Un marketing riuscito, come di un divo
del cinema o di una velina.
Dante – Un professore d’italiano a Savigliano, Valter Giordano, era
molto apprezzato al liceo in quanto conoscitore e lettore entusiasta- entusiasmante
di Dante. Poi è finito male, denunciato da due allieve per abusi sessuali. Ora
rivela il suo segreto. Ha passato dieci anni in seminario, dai 10 ai 20, e la
disciplina era durissima: “Dovevamo stare in silenzio, se parlavi la punizione
era imparare un canto di Dante a memoria. Se sbagliavi qualcosa i canti diventavano
due”. Bella pedagogia, ma Dante avrebbe approvato? Si capisce anche che non è
stato difficile incastrarlo.
Italiano – “La cultura classica del buon lettore italiano non ha
paragoni in nessun altro paese”, attesta il filologo spagnolo Francisco Rico –
le cui bibliografie includono sempre molti testi francesi, tedeschi, inglesi.
Immagine – È il segno espressivo del Millennio, in letteratura come
in politica, e perfino in affari. Non la merce, non la qualità, non l’opera o
l’autore, ma la presentazione: comunicazione e packaging.
Intellettuale - “La critica dell’elitismo e il disprezzo
degli intellettuali sono tipici di una società che tende a divenire reazionaria”:
Umberto Eco, “Le Point”, 7 maggio 2015. Eco ama i paradossi, e non teme il
paradosso dell’elitista – analogo al paradosso del mentitore (“tutti i cretesi
sono bugiardi, dice Epimenide cretese”)?
Ma
è vero che l’intellettuale è in petto
un rentier: vuole una sua (modesta)
rendita di posizione. Anche Marx lo fu, prototipo e numero uno degli
intellettuali – Marx lo fu in senso proprio, dei soldi: tutto, anche prestiti
mai restituiti, meglio che lavorare.
Latinoamericani – Il “realismo magico” fu una solida impresa
commerciale, sulle ali del successo di “Cent’anni di solitudine” nel 1967. Il
critico spagnolo Xavi Ayen, “Aquellos años del boom”, ne rintraccia la
fortuna nell’opera congiunta, a Barcellona, dell’editore Carlos Barral e
dell’agente letteraria Carmen Balcells. L’uno, gran letterato, attraverso i premi che
organizzava o controllava, all’interno e all’esterno della Spagna. Lei per
l’enorme fiuto commerciale e di relazioni pubbliche, per prima con gli
stessi autori, dei quali diventò la vestale. Capace anche di superare i
notevoli handicap politici dei suoi autori, troppo di sinistra, troppo di destra, incostanti. Fino ai
Nobel, negati invece ai latini non di scuderia.
Prima i sudamericani non erano sconosciuti, in Francia e in Italia soprattutto, argomenta
Ayen: Borges, Carpentier, Asturias, Rulfo, etc, erano tradotti e
apprezzati. Ma il boom fu un’altra cosa, Ayen limita la sua ricerca del “boom”
latino a quattro autori: Garcìa Marquez, Vargas Llosa, Cortàzar e Fuentes. Ma l’onda si estese al Brasile,
al
Messico, alla stessa argentina di Borges.
Pasolini – Voleva ridere e far ridere, gli amici lo ricordano di
spirito lieve. Mentre l’immagine che suscita è quella delusa e polemica degli
articoli “corsari”. Ma non era di buon carattere. Non parlava con nessuno nel
quartiere di Monteverde Vecchio dove ha abitato a Roma, ai due indirizzi, , il
barbiere, il giornalaio, il barista, il garagista. E, purtroppo, non aveva
amici, se non letterati. I presentava anche malinconico, e chiuso. Effetto delle
persecuzioni di cui fu vittima? Ma era anche un privilegiato. Gli ultimi tempi anche gli
intimi dicono che vagava solo.
I primi ricordi personali sono
misti. Girava l’Italia con Moravia per noiose diatribe su lingua e dialetto,
false, visibilmente false per lui
stesso. E stanche sottoposizioni alle domande dei pubblici di periferia, del
circuito Aci: le musiche nei suoi film? “solo Bach”. Ma anche per un
adattamento del “Miles Gloriosus “ di Plauto
che sganasciò dal ridere in anteprima il pubblico della Pergola a Firenze, e alla
fine la stessa Compagnia dei Quattro che lo rappresentava, sfiniti a ridere
anche loro.
Spie – Molti scrittori viaggiatori inglesi si sono vantati, o sono
sospettati, di avere lavorato per i servizi segreti del loro paese. Il più
propagandato è Graham Greene in Sierra Leone (e in Centro America?). Ma numerosi
altri sono stati sospettati, specie i tanti che viaggiavano tra Afghanistan,
Tibet, paesi di frontiera himalayani. Compreso Bruce Chatwin quando decise di
dedicarsi ai monasteri ortodossi del Vicino Oriente, per conto del “Sunday
Times”, luogo privilegiato delle informazioni “speciali” (la “strategia della
tensione” è la più famosa, ma in una serie).
Robert Byron conclude il
semi-inconcludente “L’Europa vista dal parabrezza” con un capitoletto
sull’occupazione italiana del Dodecaneso che non può essere che da servizio
segreto. Il capitolo comincia con una lode del fascismo, “l’organizzazione
politica più vitale della nostra generazione”, del tutto incongrua con lo
stile, di vita e di scrittura, di Byron:
“In materia di benessere sociale, istruzione e prosperità industriale ,
dal 1922 a oggi (1925, n.d.r.) l’Italia ha fatto progressi che non trovano paragoni in nessun altro paese
del mondo”. Per poi introdurre di colpo l’imperialismo italiano, di “innata volgarità”.
E produrre una dettagliata cronistoria, militare e diplomatica, dell’occupazione
del Dodecaneso in cui, senza fare torto giuridicamente agli italiani, dice però
che sono spietati, profittatori e distruttori. Anche per avere estromesso
l’influenza benefica inglese. Per la disattenzione di Lord Curzon Tentando anzi
di estendere l’ingerenza a Corfù, che per ritorsione era stata appena
bombardata e occupata dall’Italia dopo la strage della missione italiana
incaricata di tracciare i confini tra Grecia e Albania.
Ciò potrebbe spiegare la rapidissima
pubblicazione del voluminoso libretto, in pochi giorni, anche se come opera
d’esordio non è granché. Byron aveva venti anni nel 1925, era stato espulso da
Oxford, e vagava per Londra senza un’occupazione alternativa e senza progetti. Anche
l’impianto del libro combacia: il viaggio è particolarmente caloroso nella
tappa italiana, che è anche la più dettagliata e lunga, per dire che Byron non
è prevenuto.
Vajasseide – L’epiteto “vajassa!”, serva, della Carfagna alla Mussolini che cinque anni
fa ruppe l’armonia di genere e di partito tra le due vedettes, aveva un precedente letterario, che riemerge con la
riproposta al cinema (“Il racconto dei racconti” di Garrone) di Basile e il suo
“Cunto de li cunti”. Giulio Cesare Cortese, il letterato napoletano della prima
metà del Seicento, più famoso perché Basile ne commemorò la morte nel 1627,
mentre lui vivrà ancora una quindicina d’anni, era celebrato autore di una
“Vajasseide” in lingua napoletana – così come poi sarà il “Cunto de li cunti”.
Un poema eroicomico in ottave in cinque canti, di cui sono protagoniste le
serve di casa, “vajasse”.
letterautore@antiit.eu
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