Una delle
ultime battute per cui Andreotti è famoso fu: “Mi piace tanto la Germania che
ne vorrei due”. In questa ottica vengono qui proposte due conferenze-lezioni
che Bloch tenne nel 1927, a un corso post-universitario per insegnanti di tedesco
in Francia. Un po’ lo storico delle Annales così si ripropone lui stesso – sente
sempre forte l’impegno patriottico, come combattente della Grande Guerra e
futuro resistente nella seconda, fino a che non fu trucidato dagli occupanti
tedeschi. Ma c’è di più anche nei due saggi.
Una lezione
ricostruisce la polemica intercorsa fra due storici-politici, uno favorevole
all’imperialismo tedesco, l’altro contrario. L’altra ricostruisce l’avventura di
due imperatori ben noti in Italia, Federico Barbarossa e Federico II di Svevia. E porta alla luce un certo modo di fare imperialismo. Due imperatori per diritto di sangue, erano entrambi Hohenstaufen, oltre che eletti,
ma entrambi rispettosi delle regole, e privi di vedute patrimoniali o mercantilistiche,
com’è dell’imperialismo moderno.
L’inferenza
che la Germania vive o si culla nel sogno imperiale è però errata. La Germania
del 1848, la prima a discutere e tentare l’unificazione, ne era lontanissima.
Poi l’unità si fece con Bismarck e cioè con la Prussia, con l’espansionismo prussiano
degli Hohenzollern: è qui che cambia la storia, e l’imperialismo viene soprammesso
alla Germania bonacciona e paesana. Anche contro Bismarck, dopo che il
Cancelliere di ferro nei suoi trent’anni l’aveva eretta a solidissima economia,
con un funzionale Stato unitario. Il trentennio bismarckiano aveva anche
cementato un ceto medio molto pieno di sé, “filisteo” come si diceva, che il
kaiser Federico Guglielmo per gelosia, dei suoi cugini inglesi e dello stesso
Bismarck, e gli Stati Maggiori per incompetenza, porteranno alla catastrofe
nella guerra “vinta” del 1914, passando sopra al Belgio – una società che
Norbert Elias ha tratteggiato con maestria nel lungo saggio della raccolta “I tedeschi” sulla “società soddisfatta” del 1871-1918, “rigorosamente regolata in senso gerarchico”. .
L’Italia
che, più che con ogni altro paese europeo, ha avuto una lunga storia di
contiguità proprio con la Germania, per quasi un millennio, lo sa meglio di
ogni altro. I tedeschi, il Barbarossa compreso, non furano predatori come i
francesi. Né alieni o inetti come le aristocrazie aragonesi e castigliane. Al
contrario, furono progettuali, e rispettosi sempre del diritto. Di fatto, dove
è l’imperialismo tedesco? Nelle due guerre disastrose, le disfatte – lo stesso
soldato tedesco di cui le saghe razziste si inorgogliscono non è un
combattente, si stanca presto (i Blitzkrieg funzionano a sorpresa e in pianura,
invadere il Belgio, o la Galizia).
Omesse le
due tragedie, se ne può anche ridere, come in questi due passi di “Gentile
Germania”;
“Se la Germania e l’Inghilterra si fossero unite, dice Jaspers, la
Germania con la forza industriale e l’Inghilterra con la flotta, avrebbero
dominato il mondo. C’è mancato poco: all’inizio dell’Ottocento gli inglesi
scoprirono di essere germanici, e vollero esserlo. Prima Coleridge e De
Quincey, poi Carlyle, lunghe vite di studiosi furono dedicate all’impresa di
trovarsi genitori a Berlino invece che a Roma e Parigi. Ma la Germania rispose
col kaiser geloso che volle una flotta più grande dei suoi parenti inglesi.
“Si può commiserare la Germania per non aver potuto godersi il ruolo
imperiale quando avrebbe potuto: era il momento dei sassoni di lingua inglese.
Oppure complimentarla per questa affermazione sotterranea: pensare in tedesco è
peccare in inglese, per la comune radice. Secondo Borges l’accordo non fu
possibile per “la secolare amicizia tra la letteratura inglese e quella
francese”, che lui molto ama – il purista Borges, per il quale “la capitale della germanicità non è affatto
la Germania, crocevia d’Europa che tante orde e tanti eserciti hanno
attraversato e straziato”....
“La Germania del resto è stata grande solo con Carlo Magno, il primo
imperatore dei francesi, prima di Napoleone. Per questo giustamente la Germania
nacque il 18 gennaio 1871 nel Salone degli Specchi a Versailles. Si faceva per
Carlo Magno in Francia un giorno di festa a scuola, ma lui non distingueva tra
franchi e sassoni. Amava il brie, ma era alto un metro e novanta, aveva
ossatura massiccia e non minuta come i galli, e parlava tedesco. Fu ovunque,
nelle sue sessanta guerre in quarantotto anni di regno, meno che in Francia. La
corona ebbe da papa Leone III nel campo di Paderborn, in Sassonia. Leone III,
uno sporcaccione, anche se figura santo, autore di un Vero Enchiridion,
antico libro magico, cercava un regulus, un capobanda, che lo riportasse
a Roma.
Marc
Bloch, La natura imperiale della Germania,
Castelvecchi, pp- 112 € 14
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