“L’ultimo
tentativo di unione abortì un secolo dopo per la disperazione di Giovanni VIII
Paleologo alla morte dell’amatissima moglie Maria Comnena. Unionista convinto
contro i turchi, l’imperatore, quello della “Fla-gellazione” di Urbino e del
profilo universale delle medaglie del Quattrocento, era andato a cercare alleati
in Germania, e a Firenze al concilio che sancì l’unione a metà 1439, trovando
la moglie morta al ritorno. Maria Comnena, figlia dell’imperatore Alessio IV di
Trebisonda, era di saggezza e bellezza grandi, testimoniano gli storici Ducas e
Sfranze. Prima di lei Giovanni VIII aveva sposato Anna, una bambina figlia di
Basilio I di Mosca, morta di peste subito dopo le nozze, e Sofia, figlia di
Teodoro II del Monferrato, donna di grande bruttezza che visse confinata a
palazzo, da cui fuggì dopo cinque anni per rinchiudersi in convento.
“Fu un
ritorno nello sconforto. Per due anni Giovanni si escluse dagli affari di
Stato, consentendo al partito costantinopolitano di boicottare l’unione
sottoscritta a Firenze. Sotto la regia dell’imperatrice madre Elena Dragaš. Col
sostegno degli stessi teologi che in Italia avevano argomentato l’unità della
verità. Tutti gli orientali firmarono a Firenze l’unione: il 6 luglio 1439 i
greci, gli armeni il 22 novembre, i copti il 4 febbraio 1442, i siriaci il 30
novembre 1444, il 7 agosto 1445 i caldei e i maroniti di Cipro. Molti greci
però, tornati a Costantinopoli, si dissero forzati. Alcuni per sfuggire ai
sospetti di corruzione, altri suscitandoli con la rapida abiura. Giorgio
Gemisto Pletone, che a Firenze aveva perorato l’unità delle fedi sulla base
della ragione, scrisse un trattato contro il Filioque. Si stracciò le vesti Marco Eugenico, metropolita di
Efeso. Ebbe dubbi pure Bessarione, prima che da Roma gli giungesse la porpora
cardinalizia. Greci e russi si avviarono alla divisione definitiva. Nel 1484 il
sinodo di Costantinopoli ripudiò l’atto di unione, sotto la protezione benevola
dei turchi. Nel 1736 il patriarca Cirillo V invaliderà il battesimo latino.
“L’unione
era stata la sola politica di Giovanni VIII Paleologo, “ultimo re romeo”
(penultimo, premorì di cinque anni alla caduta di Costantinopoli – n.d.C), che
sapeva di non potersi fidare dei turchi. Due volte Giovanni VIII venne in
Italia a cercare aiuto. Gli ultimi viaggi di una serie avviata dal nonno
Giovanni V, che fu imperatore tre volte in cinquant’anni, dal 1341 al 1391 –
usurpato la prima volta da Cantacuzeno, il coimperatore delle collane di vetro.
Un pellegrinaggio di tre anni, dal Natale del 1399, aveva fruttato a suo padre
Manuele II solo un suggerimento, solo a Venezia: allearsi coi turchi per
dividerli. Al ritorno Manuele adottò in mancanza di meglio una politica
d’unione matrimoniale: il figlio Teodoro sposò a Cleope Malatesta, nipote di
papa Martino V, e Giovanni a Sofia del Monferrato. Nel 1423 Giovanni VIII era
stato una prima volta in Italia, a Venezia, Milano, Mantova e Pavia, e in
Ungheria, senza esito. I turchi lo incalzavano, mentre i fratelli, Teodoro,
Demetrio, Costantino Dragazes, perfino l’invalido Andronico si legittimavano
difensori della vera fede, col sostegno ora genovese ora veneziano, e degli
stessi turchi.
“Poi le
cose sembrarono mettersi bene. Giovanni sposò Maria Comnena. Teodoro e
Costantino liberarono il Peloponneso, sconfiggendo a Patrasso la flotta dei
Tocco, duchi di Acaia. La politica matrimoniale s’arricchì delle nozze di
Costantino con Maddalena, figlia di Carlo Tocco. Il concilio dell’unione, di
Basilea e Ferrara, si avviava a un accordo a Firenze. Giovanni VIII, che
confidava nell’autorità del papa e nel comune interesse con i principi del
sacro romano impero, la delegazione greca aveva voluto imponente e lussuosa,
impegnando i tesori del Pantocrator. L’invito del papa era stato recato a
Costantinopoli da Niccolò Cusano. Con l’imperatore erano partiti il 25 novembre
1437 per Venezia, adorni d’abiti e pietre preziose, il patriarca Giuseppe II,
il fratello minore Demetrio, i vescovi di Efeso e Nicea, Eugenico e Bessarione,
il filosofo Gemisto Pletone, il giudice universale Martino Scolario, poi
raggiunti dal metropolita russo di Kiev, Isidoro. La delegazione s’era
imbarcata il 22, tre giorni prima, per
assuefarsi a bordo al rollìo. Il viaggio si fece parte per mare e parte a
terra, mentre le navi circumnavigavano il Peloponneso.
“Quando
Giovanni VIII uscì dalla depressione, fu a un passo dal rovesciare il declino
della Nuova Roma. Per l’unione erano con lui le famiglie nobili e gli arconti
della capitale. Lo stesso mesazon Luca Notara, l’uomo cui era delegato il
governo, che diceva di preferire il turbante turco alla mitra latina, si era
convinto che Roma fosse il male minore. Al patriarca unionista Giuseppe II
succedette un altro unionista, Metrofane, battendo il candidato di Marco
Eugenico, Ghennadio l’Athonita. I turchi, chiamati da Marco Eugenico e Demetrio
a difesa della vera fede, furono respinti. Ladislao di Polonia, l’ungherese
Giovanni Hunyadi e il despota di Serbia Giorgio Brankovic raccolsero l’appello
alla crociata di Eugenio IV e sconfissero i turchi ripetutamente. I re di
Serbia e di Polonia trovarono opportuna a questo punto la pace. Ma il papa e
Giovanni VIII vollero la guerra, e Varna arrivò, con l’intervento decisivo
delle navi genovesi, e poi Kossovo, due sconfitte che porteranno i turchi quasi
a Trieste.
“Costantinopoli
finirà unitaria. L’ultimo patriarca prima della caduta sarà filolatino, Isidoro
di Kiev. Il suo predecessore Gregorio Melisseno, detto “Mammas”, era riparato
in Italia, avendo chiari gli eventi, con una reliquia della vera croce,
un’altra. A Isidoro sarà dato come successore, in partibus, Bessarione.
Ma quando Giovanni VIII morì, il 31 ottobre 1448, non un pope si trovò disposto
a officiare il rito funebre. L’imperatrice madre vietò che nella liturgia il
nome del morto seguisse quello degli altri sovrani – si partiva da Costantino il
Grande, il quale aveva ucciso la moglie e il figlio. Di Elena Dragaš, che per
un cinquantennio aveva governato i mariti e i figli, farà l’elogio funebre
Gemisto Pletone chiamandola Penelope, che non vuole dire nulla, ma da monaco
attribuendole un cervello “superiore a quello che di solito ci aspettiamo dalle
donne”.
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