domenica 14 giugno 2015

L’unione delle chiese

Il papa propone agli ortodossi l’unione delle chiese con l’unificazione della data della Pasqua. Non basta, una “e” le divide profondamente, si veda dal racconto, qui di seguito, che ne fa Astolfo, nel romanzo in via di pubblicazione “La morte è giovane”. È la “e” del Filioque: se cioè lo Spirito Santo discenda dal Padre e dal Figlio, come recita il “Credo” latino, oppure no (la controversia sulla e era stata preceduta da quella sul da tra Tertulliano e Marcione - Tertulliano aspro rimproverava a Marcione, e la contesa fu lunga: “Voi dite che Cristo è nato a mezzo di e non da una Vergine, e ancora, “in una matrice e non da una matrice”), l’ortodossia è dura in materia teologica.

L’eresia latina sta nelle due derivazioni dello Spirito, dal Padre e dal Figlio: nel Credo lo Spirito “procede dal Padre e dal Figlio (Filioque)”. Per l’ortodossia o vera fede, invece, Unigenito è sia il Figlio che lo Spirito:
- Il Padre sarebbe altrimenti il nonno dello Spirito – pappù, ha osato beffardo il fraticello Serafino, non incomprensibile. È l’igumeno spia sovietica, o bulgara, come Patrizia insinua tra le effusioni? Improbabile, inutile: l’odio verso l’Occidente è di suo antico e feroce. Per una e.
“Tutto è del padre, argomentò il Concilio unionista di Firenze nel 1439, “lo stesso Padre lo ha donato al suo unico Figlio generandolo, a eccezione del suo essere Padre: anche il procedere dello Spirito Santo dal Figlio”. Il “Credo” orientale invece lo nega. È che lo Spirito è recente: entra nel “Credo” al Concilio ecumenico del 381 a Costantinopoli, ma senza il Filioque. Questo lo introdusse nel 447 il papa san Leone Magno. Senza dolo, sulla base d’una tradizione alessandrina e latina, e prima che Roma conoscesse e facesse suo, nel Concilio di Calcedonia nel 451, il “Credo” niceno-costantinopolitano del 381. La formula è entrata nella liturgia latina lentamente, tre secoli dopo il “Credo” di Leone Magno, nei quattro secoli successivi. Fino a che il papa “ritornante” - fu tre volte sul trono - Benedetto IX nel 1054 non scomunicò il patriarca Michele Cerulario. Ma tre secoli d’iconoclastia avevano già diviso l’Oriente dall’Occidente, mentre i maomettani dilagavano su entrambi i teatri, dalla Persia a Cadice. L’Oriente ha poi ripreso a venerare le icone con ardore ma l’unità non si ricompose.
L’ultimo tentativo di riunificazione fu pure una festa laica, di ragione e tradizione, il trionfo dell’umanesimo. A Firenze e Ferrara convennero dall’Oriente in settecento, eruditi e santi, in testa l’imperatore e il patriarca, recando in dono dialoghi di Platone che si credevano perduti. Con l’ultraottantenne Giorgio Gemisto, che nella cristianità voleva introdotti un po’ di dei - che poteva scandalizzare chi non avesse letto Dante, la “Monarchia” e la “Commedia”, sul concorso di pagani, poeti e storici alla salvezza. Accolti dalle migliori intelligenze, molti tra essi aretini, fondatori di biblioteche, e da Niccolò Cusano, il cardinale tedesco dell’“Elogio dell’Idiota” e del Dio nascosto, “che tanto più si rivela quanto più resta inaccessibile”. Leon Battista Alberti finalmente vi arrivò, arrivò a Firenze al seguito di Eugenio IV, e la dotò delle sue architetture oltre che del certame dei letterati – felice infine di tornare nella città che riteneva la sua, pur non avendola mai abitata, perché era quella del babbo che da bastardo fantasmizzava. Bessarione e Marco Eugenico, metropoliti di Nicea e di Efeso, furono gli “oratori principali” dei greci al Concilio. Nell’“Oratio dogmatica de unione” alla non convinta delegazione greca il 13 e 14 aprile 1439, Bessarione spiegò l’unità della verità. Giorgio Gemisto, detto Pletone, fu un secondo Platone, che egli presentò come riferimento per l’unità filosofica delle fedi. Arezzo ne erediterà il neoplatonismo, insieme con la Romagna. Il papa Eugenio IV generosamente decretò il 6 luglio 1439 la fine dello scisma, con la Bolla di Unione “Laetentur coeli”.
“La traduzione e diffusione in greco della Bolla d’Unione il papa affidò a Traversari, preferito all’altro grecista del concilio, Pietro Vitali, calabrese di Pentidattilo, perché “filogreco”. Ma Ambrogio Traversari di Portico di Romagna, generale dei camaldolesi, coetaneo e compagno di vocazione del Beato Angelico e di Lorenzo Monaco, riformatore, uscì spossato dal concilio, dove aveva svolto le mansioni di traduttore simultaneo grecolatino, e morì immaturamente nello stesso 1439. Poi Costantinopoli ci ripensò. Eugenio IV allora schierò una squadra di umanisti. Nominò il nipote Francesco Condulmer cardinale, protonotario della Ca-mera Apostolica, ministro delle finanze cioè, e ambasciatore sul Bosforo. Con Giovanni Tortelli, viaggiatore in Grecia e a Oriente, che diverrà cubiculario segreto del papa Niccolò V, autore del “De Ortographia”, il manuale latino che Roma scrive correttamente Rhoma. Carlo Marsuppini, futuro cancelliere della Signoria fiorentina, traduttore dell’“Iliade” e della “Batracomiomachia”. E Giovanni Cesarini, legato in Germania. Ma i latini si persero i documenti che sancivano l’unione, e i greci la respinsero”.
(continua)

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