Tutto Edipo, scena per scena. L’originale,
di Sofocle (“Edipo Re”, “Edipo a Colono”) e Seneca (“Edipo”). Soggetto
privilegiato dagli scopofili, per l’intreccio di parricidio e incesto. E dalla
tragedia, Freud incluso, per la colpa che lo alimenta, fino all’atrocità. Senza,
però, l’autopunizione, l’afflizione.
Rileggere l’originale è una liberazione.
Da Freud, che lo vuole il motore della psiche umana - – fu Freud un
tragediografo? sì, senza la catarsi. Finito il destino, o il senso del religioso
incombente, resta una storiaccia, in effetti, da moderno fogliettone – ottimo serial
farebbe, senza nemmeno troppa censura.
La lettura dell’originale svelle il fondamento
di Freud. Il laico, raziocinante, buon Edipo soccombe di fronte al destino: l’intelligenza
laica è impotente, sovrastata dal fenomeno religioso. Appellarsi a Edipo, sia
pure per esorcizzarlo, è arrendersi: la pratica è pericolosa. E comunque non finisce male: già in “Edipo Re”, e più
in “Edipo a Colono”, il destino che “muta e trasforma ogni cosa” Sofocle lo
porta a riabilitare e innalzare lo sventurato. Quello di Freud è l’Edipo di
Seneca, che per il suo stile horror lo fa “torbido e nevrotico, dominato
ossessivamente dall’angoscia e dalla paura, e del tutto isolato dal contesto
sociale” – Silvia Fabbri (la psicoterapeuta?).
Il mito di Edipo, Bur, remainders, pp. 165 € 2,50
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